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Mauro Mazza, direttore del Tg2, ripercorre gli inizi di un gruppo che ha fatto cultura e politica

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Scuola particolare, ignorata o mal sopportata, negli anni Settanta, dai partiti dell'arco costituzionale perché cucina di un giornale, «Il Secolo d'Italia», organo del Movimento sociale italiano di Almirante, messo nel ghetto dalla prima Repubblica. Scuola di formazione di tanti ragazzi oggetti sì di attenzione. Ma solo come probabili obiettivi dell'ultrasinistra armata che allora praticava lo sport del «se vedi un punto nero spara a vista, o è un carabiniere o un fascista». Che bella gabbia di matti quella di via Milano, creata negli anni Cinquanta dal senatore missino Franz Turchi, ex prefetto repubblichino di La Spezia, grazie a poche stanze, soppalchi e scantinati quasi regalati dal Comune di Roma. Sede storica del quotidiano «Il Secolo d'Italia» che non era soltanto un giornale, ma soprattutto famiglia della Fiamma tricolore che voleva crescere politicamente e culturalmente. Luogo di lavoro spesso malpagato, con un'amalgama speciale fra giornalisti, tipografi, fattorini, impiegati. Con tanti ragazzi da allevare e da crescere. E che in un impensabile domani si troveranno sdoganati e diventati «qualcuno», chi presidente di partito e chi ministro, chi direttore di Tg, chi consigliere d'amministrazione Rai. Un tuffo nel passato del quotidiano di An (diretto oggi da Flavia Perina, una ragazza di allora) raccontato da uno che c'era, il giornalista Mauro Mazza, direttore del Tg2 dal 2002 dopo essere stato al Secolo dal 1977 al 1987. Pagine che si leggono d'un fiato quelle de «I ragazzi di via Milano» (Fergen editore, pp.144, 10 euro, www.iragazzidiviamilano.it). Esperienze che oggi sembrano lontane anni luce. E che Mauro Mazza ridescrive non per reducismo. «Anzi tutto il contrario - spiega il direttore del Tg2- Ho pensato di fare i conti con il mio passato che coincideva con quello di un gruppo di persone che ha vissuto e lavorato insieme nel bene e nel male per anni. Un gruppo umano e politico che ho voluto rievocare per recuperare qualcosa di quello spirito». I ragazzi di allora si chiamano Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri, Francesco Storace, Silvano Moffa, Gennaro Malgieri (che ha scritto la prefazione del libro), Adolfo Urso, Teodoro Buontempo e altri. Apprendisti di un mestiere affascinante istruiti da maestri d'accezione. Che erano Franz Maria D'Asaro, Cesare Mantovani, Alberto Giovannini (il «medico condotto» della vecchia rubrica de Il Tempo di Angiolillo negli anni Sessanta e allevatore di numerosi cavalli di razza del giornalismo italiano al «Roma» e al Giornale d'Italia), Mario Pucci che si sentiva un po' padre di tutti, Nino Capotondi. E poi i mostri sacri come Giorgio Almirante, Nino Tripodi, Pino Romualdi. Il Secolo d'Italia è stato sempre una scuderia. Allevati in via Milano anche Gaspare Barbiellini Amidei, già vice direttore del Corriere della Sera e poi direttore de Il Tempo, Pippo Marra, oggi editore dell'Adnkronos, colosso dell'informazione. Si guardavano intorno e cercavano di interpretare e descrivere quanto accadeva nella vita politica e culturale italiana i ragazzi di via Milano. Provenienti da esperienze diverse (cattolici, evoliani, missini militanti) ma messi tutti nel girone degli appestati, colpevoli solo di esistere. Perchè loro con il fascismo non avevano nulla da spartire. Eppure infilati nella lista nera dell'antifascismo militante sicuri che prima o poi la quarantena sarebbe finita. Come poi in effetti è avvenuto. Bunker nemmeno tanto protetto quello di via Milano. Dove la sera si andava come in un salotto. Perché era ritrovo politico di militanti missini che si chiedevano il perché di tanto sangue fra opposti estremismi. Angelo Mancia, di casa al Secolo, non ha fatto in tempo ad avere una risposta, in quanto caduto sotto i colpi da una «volante rossa». Non capiva quell'ondata di odio Giuseppe De Rosa (da tutti chiamato «Peppe er matto»), f

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