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In un saggio le profetiche tesi di De Gasperi: «L'economia comune non garantisce unione»

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Europa, sogno mai realizzato

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Con i suoi circa dieci milioni di chilometri quadrati e un miliardo trecento milioni di abitanti, la Cina - grande potenza emergente - figura al centro della mappa: sulla destra, oltre la distesa del Pacifico, si distinguono i contorni del continente americano; sulla sinistra, piccola piccola, l'Europa, estrema propaggine, poco di più di una appendice, del continente euroasiatico. Sarà questa la dimensione dell'Europa («minore» in tutti i sensi: geopolitici, economici, produttivi), man mano che ci addentreremo nel terzo millennio, se gli europei, prendendo contezza del loro incerto destino, non imboccheranno decisamente la via di una vera unificazione? Si fa sempre molta retorica, nel vecchio continente, sull'europeismo, immancabilmente evocato da questo o quel governo, all'atto dell'insediamento: un rito ripetitivo che avviene anche da noi. Ma è un fatto che gli Stati Uniti d'Europa sono ancora un traguardo da raggiungere: troppi gli egoismi, le remore, i distinguo, i raffioranti nazionalismi da parte dei vari patner. Una rilettura dell'iter percorso dal processo di integrazione, offre motivi di riflessione. Se ne ricava la sensazione (se non la certezza) che i valori invocati fossero più sentiti e presenti nell'immediato dopoguerra - con le cicatrici della guerra ancora aperte - che non oggi. Merito indubbiamente della caratura politica e della levatura morale dei «padri fondatori», da Jean Monnet Robert Schuman, da Alcide De Gasperi a Konrad Adenauer. Una carrellata lungo sessant'anni di storia europea; una documentazione anche giuridico-istituzionale sulla evoluzione della idea dell'Europa, dalla Ceca al Mercato Comune, alla Comunità a 6, poi a 7, infine a 25: questa la circostanziata disamina compiuta da Emilio R. Papa, ordinario di storia contemporanea, con il libro «Storia dell'unificazione europea» Bompiani, 305 pagine, 11 euro. L'autore parte da lontano. Si occupa anche dal progetto - sbiadito dal tempo e per la verità poco conosciuto - di un anglofrancese, su base paritaria, proposta da Churchill, con i tedeschi già accampati a Parigi, e discussa dal Consiglio dei Ministri francese il 16 giugno 1940. La Francia era in ginocchio, ogni speranza perduta. Eppure, la proposta del Premier inglese venne respinta con sdegno al grido: «Non vogliamo diventare un Dominion inglese!». Lo sciovinismo di sempre, anche in quel drammatico frangente: lo stesso che, nel 1954, portò alla bocciatura, da parte dell'Assemblea Nazionale, al canto della «Marsigliese», della Comunità Europea di Difesa «che avrebbe postulato l'unità politica quale sua conseguenza naturale». Il vecchio Edouard Herriot, si presentò su una sedia a rotelle per dire: «La Comunità europea è la fine della Francia!». Un impasto di sciovinismo ed egoismo si è manifestato ancora nel 2005, con i francesi che hanno votato contro il Trattato per una nuova Costituzione europea. Dure a morire certe convinzioni anche al di là della Manica, poiché Winston Churchill non resisteva alla suggestione di considerare il Regno Unito e il Commonwealth come il «sesto continente», convinto che gli inglesi, in cuor loro, tra l'Europa e il «gran largo atlantico» propendano sempre per quest'ultimo. A parte il faticoso ingresso del Regno Unito nella Comunità, certe resistenze permangono, se Londra non ha accettato l'euro. È di questi giorni la commemorazione di Altiero Spinelli, un europeista che vedeva lontano. State a sentire che cosa scrive l'autore sulla visione dell'Europa che aveva Altiero Spinelli e soprattutto sul metodo per conseguire una effettiva unificazione del continente. «Spinelli smentì sempre, puntualmente, l'illusione di una comunità europea che potesse realizzarsi gradualmente soltanto attraverso un processo di integrazione economica, finendo col partorire fatalmente, come una sua meccanica "appendice", la unione politica. Un risultato quest'ultimo impossibile a conseguirs

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