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Troppi quattro uomini per la «regina» Devos

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VISTO DAL CRITICO

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UN CONFRONTO fra una donna (la «regina» del titolo) e i quattro uomini della sua vita (i «re». La donna, che si chiama Nora con le stesse luci e le stesse ombre dell'eroina ibseniana di «Casa di bambole», è seguita, per buona parte dell'azione, in primo piano: con un amante Pierre, da cui aspettava un bambino, Elias, nato dopo la sua morte; con un altro amante Ismaël, da cui però si è distratta presto; con un fidanzato, Jean-Jacques, che ama poco ma che finirà per sposare; e infine con un padre, Louis, di cui, malato terminale, anticiperà, per eutanasia, la morte. In parallelo, ma con intrecci continui, si seguono, sempre in primo piano, le vicende di Ismaël, che scombinato e scriteriato, finisce in manicomio per errore, prima protestando, poi adeguandosi senza difficoltà, infine, uscito, pronto a rifiutare l'adozione di Elias, sollecitata da Nora, perché, in un epilogo, convince il bambino della necessità di non aver bisogno di padri finti. Ha imbastito queste due storie, seguendole spesso in parallelo ora appunto, intrecciandole ora solo alternandole, un regista francese, Arnaud Desplechin, incontrato finora quasi solamente a qualche festival. I personaggi li ha costruiti bene e così i loro reciproci rapporti (padre e figlia, quelli d'amore e di sesso), però ha insistito un po' troppo nel disegnarne le azioni e le reazioni, diluendosi in un racconto così fitto di eventi da sembrare derivato da un romanzo anziché da un soggetto per il cinema. La personalità complessa di Nora, comunque, ha un suo segno, specie quando, senza distinzioni maniache il nero lo si fa prevalere sul bianco, pur con motivazioni soggettive (un po', appunto, come la Nora di «Casa di bambole»). E un segno molto colorito ce l'ha anche la personalità di Ismaël, spesso incisa a tinte forti, ai limiti dello squilibrio e del disordine. Salvo l'epilogo in cui, invece, scade nel moralismo facile. Così un certo interesse il film lo pretende: anche quando Nora parla con Pierre e con il padre dopo che sono morti, senza giocare ai fantasmi. Nelle sue vesti c'è, molto intensa, Emmanuelle Devos, già vista nell'opera prima di Valeria Bruni Tedeschi «È più facile per un...cammello». Con accenti furbi da clown, Mathieu Amalric come Ismaël pronto, in manicomio, nel personaggio di una psichiatra, a imbattersi addirittura in Catherine Deneuve. Che sembra però uscita da un altro film.

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