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Lo Verso intellettuale conteso nella Sicilia liberata

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VISTO DAL CRITICO

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Tre giorni in Sicilia nel '43. Il fascismo finalmente è caduto ma gli americani, anche se sono già sbarcati, debbono ancora arrivare nel paesino in cui l'azione si colloca. I contadini, così, pensano di occupare le terre, i borghesi meditano sui modi più utili per salire sul carro dei vincitori. In mezzo, Giuseppe. Si è appena laureato in lettere, è ancora in divisa, è figlio di un antifascista, socialista dalla prima ora. I contadini lo vorrebbero con loro, e così i borghesi, ciascun gruppo, naturalmente, con intenzioni diverse, anzi, opposte. Lui esita, così come esita nei sentimenti, attratto, per un verso, da un'amica d'infanzia, Pina, del suo stesso ceto, pronto, però, anche a lasciarsi sedurre da Anna, la figlia di un latifondista che, in questi giorni di anarchia, si è liberata da qualsiasi remora sessuale. All'arrivo degli americani, quell'improvvisata democrazia senza regole, cui Giuseppe non è mai riuscito a dare ordine, rientra nei ranghi, tramonta il sogno interessato e un po' egoistico della «Sicilia ai siciliani» o quello di un'altra stella nella bandiera americana, e ciascuno prende la strada che deve prendere. Con una conclusione in cui, tra realtà e sogno, Giuseppe si vede alla testa dei contadini che, servendosi di una bandiera rossa per commemorare nelle processioni Gesù Risorto, invadono le terre dei latifondisti... Ci ha raccontato questi tre giorni Vito Zagarrio, dopo due film abbastanza ineguali, «La donna della luna» e «Bonus Malus». La sua storia l'ha praticamente divisa in due parti, quella corale, con il disegno degli stati d'animo e degli atti «anarchici» di un intero paese liberato dall'oppressione fascista ma ancora incapace di sostituirla con una vera democrazia, quella individuale, che si stringe attorno al personaggio di Giuseppe, diviso non solo fra due contrastanti occasioni amorose ma fra l'adesione totale a quel momento di libertà e le sue aspirazioni di studioso anche politicamente legato ai principi e alle regole. Convince di meno il disegno collettivo di quella rivolta ancora senza indirizzi precisi, lasciata cedere, in qualche passaggio, persino a un sospetto di retorica. Meglio incisi invece i duplici dilemmi del protagonista, anche se, l'equilibrio precario, nel finale, fra immaginato (o ricordato) e reale, non giova né alla chiarezza né alla logica. Poco risolte dall'interpretazione di Enrico Lo Verso, sempre adeguato, come gestualità, nel corso dell'azione, incerto invece nella mimica, specie quando gli si impongono molti primi piani. Cui corrisponde a fatica.

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