Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Metha e Ronconi trasformano «Falstaff» in figlio dei fiori

default_image

AL «MAGGIO FIORENTINO»

  • a
  • a
  • a

Falstaff è dunque un freakettone invecchiato, un figlio dei fiori che si sente un sir John ben più nobile di quegli stolidi punk dei suoi scherani Bardolfo e Pistola. Eppure raggiunta l'età dei 60 anni veste la sua alta uniforme da spasimante - giubbotto colorato e sciarpone alba anni '70 - per conquistare le comari di Windsor Alice e Meg, allegre quarantenni borghesi vestite in stile "british" come la finta mezzana Quickly, cui il costumista Carlo Diappi non ha fatto mancare cappellini in stile Elisabetta. Così lontani dall'ambientazione shakespeariana dovremmo innervosirci? In realtà tutto è congeniale al sottile lavoro di regia, che esalta gli aspetti di commedia contenuti nel libretto di Arrigo Boito senza mai cedere alle tinte grosse. I rapporti tra i personaggi sono dipinti da Ronconi con fine psicologia e leggerezza, l'apice della comicità è raggiunto in quella sublime scena di caos ordinato in cui Falstaff è gettato nel Tamigi con i panni sporchi. Al terzo atto arriva il vero colpo di teatro, grazie anche alle scenografie di Margherita Palli: la stanza di Falstaff si frantuma a vista trasformandosi nel bosco di Windsor. Nel bel mezzo c'è la quercia di Herne che in realtà è l'unica suppellettile rimasta in scena, il letto dove sir John dorme, e probabilmente sogna la burla finale. E a guardarlo così circondato di foglie autunnali, il dormiente Falstaff sembra l'icona della folle ansia giovanilistica dei tempi nostri, delle grottesche facce di mezz'età che assiepavano, nello stesso giorno della prima di questo «Falstaff», il concerto di Springsteen a Milano, e tra quelle Bruce in persona, anzianotto sir dell'ordine della chitarra elettrica. La direzione di Metha è splendida: la sua lettura, nel solco toscaniniano come ammette lui stesso, è tutta nel ritmo teatrale e del pari riesce a tirare fuori il finissimo intreccio strumentale dell'ultima e raffinatissima partitura di Verdi. Un'interpretazione musicale che si sposa perfettamente alla regia per uno spettacolo molto compatto, che raggiunge un successo sicuro e in cui torreggiano le voci di Barbara Frittoli come Alice Ford e di Ruggero Raimondi che da maestro riesce a infilare la sua vecchia pellaccia nel personaggio di Falstaff. Una lezione per gli altri interpreti alcuni più giovani e tutti più sommari - Manuel Lanza, Danil Shtoda, Mariola Canterero, Elena Zilio e Laura Polverelli - con l'eccezione del Cajus di Carlo Bosi. Altre tre repliche fino a venerdì.

Dai blog