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«A Vialli perdono tutto, a Moggi no»

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Nel cast Valerio Mastandrea, Piera Degli Esposti e Francesca Inaudi

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Ciascun episodio è diretto da un regista esordiente del Centro Sperimentale di Cinematografia: «Meglio di Maradona» di Michele Carrillo; «La donna del mister» di Claudio Cupellini, incentrato sul calcio femminile, con Francesca Inaudi e Rolando Ravello; «Balondòr» di Francesco Lagi, con Gigio Alberti; e «Il terzo portiere» di Roan Johnson, con Valerio Mastandrea. Sono quattro ritratti e racconti sul mondo del calcio, stile commedia popolare, divertenti, ma attraversati da amarezza e poesia. «Luciano Moggi non c'entra niente con il calcio — ha esordito ieri Paolo Virzì, che ha anche partecipato alla sceneggiatura di ogni episodio —. Il calcio è del talento dei giocatori e della passione dei giocatori, non di questi personaggi che con prosopopea insopportabile parlano di tutto. Sono uno juventino triste, che ora tifa per il Livorno. Ai giocatori di talento io perdono tutto. A Maradona abbiamo perdonato il gol di mano e i chili di cocaina che si tirava. E Vialli lo porterò sempre nel cuore. Se poi si è fatto anche una canna o si è tirato la cocaina, ha fatto bene. Ma Moggi come si permette di chiamare Giacinto Facchetti "brindellone". Facchetti è un grande campione, è un pezzo di storia del calcio italiano. Moggi, invece, è il peggio del calcio italiano. A Vialli, nonostante la droga, perdono tutto, ma Moggi trovo che abbia un comportamento impresentabile, sia un arrogante. è sicuramente un cattivo esempio per i giovani. La Juve la si deve giudicare anche sul campo. Non si può dire che tutte le partite sono fasulle anche perchè sono difficili da combinare. Basta un ciuffo d'erba per cambiare il risultato di una partita. Il calcio è una passione irragionevole e infantile, ma è bella proprio per questo: è bello ricevere il bacio dalle nostre fidanzate, quasi fosse l'ultimo, prima di andare a fare una partita di calcetto, dove noi dilettanti potremmo davvero lasciarci le cuoia». L'attore Valerio Mastandrea, protagonista di uno degli episodi del film, si sente invece «già disilluso da tempo e di quello che è successo non mi sono stupito particolarmente. Ma va detto che questo è un paese che perdona troppo facilmente. Voglio vedere proprio quanto ci vorrà adesso per perdonare. Toccare il calcio significa toccare la cultura di un popolo. E non dimentichiamo che anche i mondiali sono stati a volte uno strumento politico, come quelli dell'Argentina nel 1978. La gente dovrebbe pensare anche a questo».

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