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Il dramma del teatro italiano

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Si vede benissimo che sta riflettendo a voce alta: si interroga anche lui su quale potrebbe essere la soluzione. «O magari», aggiunge, «si potrebbe creare un tavolo permanente di discussione. Per approfondire i problemi, per trovare le soluzioni. E senza perdere troppo tempo, perché la situazione è drammatica, al limite del tracollo definitivo». Vincenzo Monaci, amministratore delegato ed azionista di maggioranza del Teatro Eliseo (l'azionista di minoranza è Capitalia), non ha dubbi: la condizione dei teatri italiani è drammatica. Richiede interventi urgenti, di carattere strutturale. Non bastano più gli "aiutini", i palliativi. «Non siamo presenti nel mercato internazionale», sottolinea: «Ormai all'estero ci va soltanto Ferruccio Soleri con l'Arlecchino servitore di due padroni, allestito da Giorgio Strehler quasi sessant'anni fa. E Soleri di anni ne ha settantacinque. Poi va in giro per il mondo qualche opera lirica. Di recente Giampaolo Vianello ha firmato un accordo per la Fenice di Venezia in Cina. Fanno qualche tournée le opere e la Filarmonica della Scala. La prosa, la nostra prosa, non ha posto dai teatri degli altri Paesi». E non va meglio per il cinema, o per la fiction televisiva. «Siamo sostanzialmente assenti - con pochissime eccezioni - dai mercati, dai palcoscenici, dagli schermi internazionali». Per non parlare, poi, degli episodi tragicomici. Nelle scorse settimane sono andate a monte le repliche dell'allestimento di "Troilo e Clessidra" di Shakespeare curato da Luca Ronconi (mostro sacro del teatro italiano) per il ciclo di spettacoli che ha fatto da cornice alle Olimpiadi di Torino. Perché si è scoperto che la scena è troppo ingombrante per i palcoscenici dell'Argentina di Roma e del Piccolo di Milano dove era stata messa in cartellone. A Roma era in programma dal 31 marzo ad oggi. Non se n'è fatto nulla, e il direttore artistico dello Stabile di Roma, Giorgio Albertazzi, ha invocato "motivi tecnici" e ha rimpiazzato Shakespeare con uno spettacolo suo e di Scaparro. Monaci non è un uomo di teatro: è un manager. Ma nel teatro si è tuffato con grande entusiasmo sette anni fa, acquisendo il controllo dell'Eliseo, che era in agonia. Verrebbe da domandargli "chi glielo ha fatto fare". Ma la risposta arriva prima della domanda. «Come imprenditore, avvertivo l'esigenza di investire in una impresa culturale, per fare qualcosa che lasciasse il segno. A un certo punto della vita è indispensabile porsi obiettivi diversi, che non si esauriscano nel lavoro e nel guadagno. Mi piaceva l'idea di poter contribuire alla ripresa di un teatro in difficoltà. Di mettere al servizio di un'impresa culturale la mia esperienza di manager, utilizzando meglio gli spazi, ottimizzando le risorse, eliminando i tempi morti, introducendo criteri sani di gestione. E i risultati ci sono stati. Il calendario è diventato molto più fitto. Il teatro lavora anche nel giorno di riposo settimanale, con spettacoli speciali, per esempio con lezioni di filosofia. Lavora di mattina, con gli spettacoli per le scuole». E il cartellone è molto ricco: sia quello dell'Eliseo che quello del Piccolo Eliseo Patroni Griffi: in questi giorni Gabriele Lavia e Mariangela Melato sono i protagonisti (con grande successo) di "Chi ha paura di Virginia Wolf?" all'Eliseo; Ferdinando Bruni offre "La tempesta di Shakespeare" agli spettatori del Piccolo. E il 18 aprile debutterà un inedito Leo Gullotta ne "L'uomo, la bestia e la virtù" di Pirandello. «Il problema fondamentale», spiega Monaci, «è che mancano le regole della competizione. C'è una prevalenza assoluta dei teatri pubblici su quelli privati, e si combatte ad armi dispari». Le cifre ufficiali confermano questa analisi. Il rapporto fra pubblici e privati è pressoché in parità per i teatri Stabili (16 a 15), ma il finanziamento del Fondo Unico dello spettacolo è molto sbilanciato (20,5 milioni di euro ai primi; 12 milioni ai secondi). «Nel resto d'Europa - dove le cose per il teatro vanno meglio - non c

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