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«Piazza Vittorio», l'orchestra torna a scuola

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Sedici elementi che arrivano da mezzo mondo, tanta passione in un gruppo povero ma autosufficiente

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Zaino in spalla, fretta nel cuore: si salutano sulle scale. L'ora di musica multietnica si svolge al pianterreno in un'aula non prevista, semi-nascosta. Non ci sono crediti in pagella per chi assiste alle prove aperte dell'Orchestra di Piazza Vittorio, 16 musicisti intenti a ridisegnare in uno stanzone-scantinato la cartina geografica della musica. Il supergruppo guidato dall'ex Avion Travel Mario Tronco, che nell'ex ripostiglio del Galilei ha allestito stabilmente la sua sala prove e per il nuovo disco l'ha persino trasformato in uno studio di registrazione, ha appena pubblicato il suo secondo cd. Roba dell'altro mondo. Quello fatto di antichi palazzi romani «occupati» dalle incursioni degli artisti, quello che spinge Vinicio Capossela a suonare una milonga fino all'alba per le coppie del corso di tango dell'Angelo Mai. Il Galilei, che tra i suoi diplomati annovera Lucio Battisti e Marcello Mastroianni, è la dimora insonorizzata dell'orchestra: «Lo studio più attrezzato non restituisce lo stesso calore di una registrazione fatta in casa», spiega Tronco che ha dato a questa Babele di linguaggi musicali, un'organizzazione degna delle più efficienti imprese. «Del disco precedente - spiega - abbiamo venduto 8.600 copie durante i concerti, più di 6000 nei negozi, 2.700 su internet, 4.700 in Germania. Un risultato che permette di far sopravvivere l'Orchestra senza finanziamenti né pubblici, né privati, come un'azienda fatta di musicisti assunti ad uno stipendio di mille euro al mese». La prima nazionale del nuovo tour si terrà il 19 aprile al Centro S. Chiara di Trento, un centro di servizi culturali che ha contribuito a sostenere le prove del disco: «Un'amministrazione del nord-est - continua Tronco - che finanzia un'orchestra di immigrati è già un buon segno». In «Sona», titolo del cd, cresce il lavoro autoriale dell'Orchestra, con più canzoni originali rispetto al disco precedente, una cover del padre dell'Afrobeat, Fela Kuti (il brano pacifista dell'album), un omaggio a Renato Carosone e persino un pezzo di disco music. Amore e religione sono i temi prediletti dai musicisti-autori di «Sona», parola che in indiano significa «bello» e per tutti i dialetti del centro e del sud Italia altro non è che un invito a suonare. Ma, coincidenza curiosa, il Sona è anche un «linguaggio ausiliario internazionale», inventato nel 1935 come risposta all'esperanto, considerato troppo eurocentrico. Parlano come i poeti d'Africa e d'Arabia: all'amata, al destino, ai figli, a chi ha fede, a Mame Cheicke Ibrahim Fall, invocato in alcuni brani come il profeta. «Per noi - spiega il percussionista senegalese El Hadji "Pap" Yeri Samb - è un santo, è come il Papa». Poi mostra la sua immaginetta che porta al collo e si corregge: «È come Padre Pio. Gli saremo sempre devoti, anche se il primo resta sempre Allah». Mario Tronco come Miles Davis, secondo il bassista Pino Pecorelli: «A Mario la musica etnica non è mai piaciuta. A casa ha pochissimi dischi, non proviene da quel mondo, ma ha cercato di amalgamare le diverse suggestioni secondo un suo gusto personale e con il piglio di Davis: anche lui, se vuole, ci fulmina con un solo sguardo e cambia in corsa l'esecuzione. In questo disco è nato un linguaggio comune a prescindere dalle diverse provenienze». Unico cruccio: solo due donne. Sono l'italiana Gaia Orsoni alla viola e l'ungherese Eszter Nagypal al violoncello, «ma la mia prossima battaglia - dice il direttore Mario Tronco - sarà per le quote rosa».

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