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Hopkins in sella alla Indian fa il record della simpatia

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BURT MUNRO, l'uomo più veloce del mondo. In una moto su strada. Ce ne racconta le imprese anni Sessanta Roger Donaldson di cui si è visto di recente un film molto hollywoodiano con Al Pacino, «La regola del sospetto». Qui gli echi delle biografie in uso a Hollywood non sono molti, né tensioni, perciò, né emozioni forti e neanche inciampi ad ogni svolta. Una cronaca semplice, invece, avviata in una cittadina della Nuova Zelanda, Invercargill, dove Munro, ben voluto da tutti, ma anche un po' deriso, si ostina a rimettere in sesto una sua vecchia moto datata 1920, una Indian Twin Scout, con la quale aspira a battere il record di velocità della categoria che si contende ogni anno nello Utah, a Bonneville. Prima le difficoltà - non molte, comunque - di quella ricostruzione, poi quelle un po' buffe, ma sempre ottimistiche, del lungo viaggio prima per mare poi su una piccola auto sgangherata dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti. Per arrivare finalmente nel bianco deserto dello Utah dove gli organizzatori all'inizio faticano a prenderlo sul serio, poi, convinti, assistono con entusiasmo alla corsa che gli farà battere un record a tutt'oggi - dal 1967 - ancora insuperato. Niente finale in gloria, comunque, tutto con modi di rappresentazione quasi dimessi, stretti su quel personaggio metà strambo metà ostinato seguito da vicino in quelle lunghe peregrinazioni in cui sono quasi del tutto assenti increspature ed elementi negativi, se si eccettuano delle pillole contro il mal di cuore che lo vediamo assumere di tanto in tanto, per nulla intimorito. Donaldson, che anni fa (nel 1972) Aveva già realizzato un documentario con la partecipazione dello stesso Munro («Offerings to the God of Speed»), avendo conosciuto bene il personaggio ha fatto in modo che, nella sua nuova esposizione, mantenesse il più possibile gli accenti della verità: con toni dimessi, addirittura quieti, nonostante la passione sportiva, e con una cordialità umana anche più addolcita dal fatto che si tratta di una persona anziana (e inferma), sostenuta quasi soltanto dalla forza di volontà. È riuscito nel compito soprattutto perché, a reinterpretare Munro, ha potuto avere addirittura Anthony Hopkins che vent'anni or sono aveva diretto nel «Bounty» con Mel Gibson. Tutto quello cui tendeva lo ha ottenuto: il valore umano del personaggio, certe sue singolarità psicologiche, il coraggio nelle poche avversità in cui si imbatte e, soprattutto, una totale simpatia. Che fa vincere il film.

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