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La Santa Sede prestò 50 milioni a Umberto II per l'esilio «Temevo il caos se Nenni fosse diventato capo del governo»

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Riteneva che la qualità degli eletti fosse indispensabile per garantire un buon lavoro, a prescindere dall'esito del referendum fra monarchia e repubblica». Chi ricostruisce quelle giornate è un testimone oculare, Giulio Andreotti, che già da qualche mese era diventato uno dei collaboratori stretti del presidente del Consiglio di allora. L'unico in grado di fornire un'interpretazione "autentica" del clima di quelle giornate cruciali e degli umori dei protagonisti. L'occasione per scavare nella memoria è l'inaugurazione di una mostra dedicata al "60° Anniversario della Repubblica Italiana" (a Roma, Villa Chiassi), che - in un grande allestimento scenografico - ricostruisce la campagna elettorale del 1946. Si cammina tra palazzi, botteghe, e rovine dell'epoca, tappezzate da più di 180 documenti storici (manifesti, volantini, appelli, documenti, foto di manifestazioni, prime pagine di quotidiani). La colonna sonora, realizzata dalla Rai,offre canzoni dell'epoca e voci dei protagonisti della politica. Il progetto è di Collezioni Numismatiche. Nell'occasione è stato presentato anche un libro ("W la Repubblica - Storia di una irripetibile passione civile") curato dal ministero per i Beni Culturali. «De Gasperi votò Repubblica, lo so per certo», racconta Andreotti, tagliando corto sulle tante voci che si sono rincorse in questi sessant'anni riguardo alle scelte compiute dallo statista trentino. «Ma io votai Monarchia», aggiunge con un sorriso malizioso. E spiega perché, con l'ironia inossidabile che gli conosciamo tutti. «Avevo una zia molto anziana, nata a metà del secolo precedente, papalina e affezionatissima alla memoria di Pio IX, che continuava ad essere il "suo" papa. Quando si parlava di repubblica a lei tornava in mente la Repubblica Romana del 1849, quella di Mazzini e Garibaldi, con il papa esule a Gaeta, ospite di Ferdinando II di Borbone. Una Repubblica che i romani più legati al papa giudicavano in modo profondamente negativo. Quel giudizio si tramandò nel tempo. Quando ero ragazzo, dire "Questa è una repubblica" equivaleva a dire che c'era un gran disordine e una grande confusione». All'opposto, ricorda Andreotti, «Pietro Nenni, alla vigilia del referendum ripeteva: "O la repubblica o il caos". Devo confessare che io temevo che se fosse diventato lui il capo del governo, avremmo avuto l'una e l'altro». Riaffiorano anche le antiche polemiche sui brogli nel referendum. Andreotti (che pure aveva votato Monarchia, come s'è appena detto) non vuole neppure sentirne parlare. «Certe voci furono alimentate anche alla confusione che regnava nella raccolta dei dati. Il ministero degli Interni non aveva linee dirette con le prefetture, i telefoni funzionavano male, e quindi i dati arrivavano a blocchi. A seconda delle regioni di raccolta, si creava l'euforia fra i monarchici e la depressione fra i repubblicani, o viceversa. Quest'altalena di emozioni favorì ogni genere di sospetti, che furono comunque del tutto infondati». Ci fu - questo è opportuno rievocarlo, a margine dei ricordi personali di Andreotti - un ricorso presentato da un gruppo di professori di diritto dell'Università di Padova secondo i quali il decreto luogotenenziale del 16 marzo che aveva convocato il referendum richiedeva la "maggioranza degli elettori votanti" e non dei voti validi. Occorreva, dunque, un quorum perché il risultato avesse efficacia. Un decreto successivo (del 23 aprile) si esprimeva in modo diverso...Se fosse stata ritenuta valida la prima versione, la maggioranza a favore della repubblica si sarebbe ridotta dal 54,26 per cento al 51 per cento: un margine troppo esiguo per consentire la proclamazione dei risultati prima delle verifiche sui vari ricorsi presentati per errori e contestazioni. La Corte di Cassazione rinviò al 18 giugno la pronuncia ufficiale. La situazione dell'ordine pubblico rischiò di diventare critica. «Ma a Roma, nei palazzi delle istituzioni e della politica», racconta Andreotti, «il clima era se

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