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Le 99 Anne Frank senza diario

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In un libro le storie di donne omonime dell'ebrea tedesca che condivisero il suo terribile destino

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Ovviamente un libro sulla shoa, sui lager, le camere a gas, il più orrendo crimine commesso contro l'umanità, milioni di vittime, un incubo che la memoria non può cancellare. Lo sterminio perpetrato ad Auschwitz, a Dachau, a Bergen-Belsen, a Buchenwald, a Mauthausen. Ma anche a Treblinka, Flossenburg, Sachsenhausen, Chelmno, Majdanek, Gross Rosen, Stutthof, Sobibor, Janowska, Dora Mittelbau, Ravensbruck, Theresienstadt, Belzec, Esterwegen, Hartheim, Natzweiler Struthof. E in Italia, a Fossoli e nella Risiera di San Sabba. Quello che non ti aspetti è la veridicità del titolo. Anna Frank è un simbolo dell'Olocausto: la ragazzina di tredici anni, ebrea di origine tedesca, rifugiata ad Amsterdam per sfuggire alle persecuzioni naziste, che descrisse in un diario - giorno per giorno - un'esistenza allucinante, fino al 1° agosto 1944, il giorno in cui fu arrestata e deportata a Bergen-Belsen, dove sarebbe morta nel marzo dell'anno successivo. Roberto Malini (che da quasi trent'anni compie ricerche nell'ambito della storia e della cultura dell'Olocausto) ha raccolto in un libro - «Le 100 Anne Frank, I diari mai scritti» (Cairo Editore, 15 euro) - la storia di altre 99 donne, omonime dell'autrice del Diario, che ne condivisero il tragico destino. Nel frontespizio del libro spicca una frase di Primo Levi, che ha il sapore di una premonizione: «Una singola Anna Frank desta più commozione delle miriadi che soffrirono come lei, ma la cui immagine è rimasta in ombra. Forse è necessario che sia così; se dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo vivere». Malini, lavorando sugli archivi (e in particolare sul data base di Yad Vashem, disponibile su Internet) ha scoperto la storia (le storie) di altre 99 donne - ma si intuisce che ce ne sarebbero altre ancora - inghiottite nei lager, con lo stesso cognome e con un nome identico (o quasi) a quello di Anna. Ci sono le Hanna, le Anika, le Ana, le Chana, le Johanna. «Malini - scrive Gad Lerner nella prefazione del libro - evita di inventare, s'inchina di fronte ai crudi dati anagrafici, spesso incompleti, eppure più che sufficienti a inanellare una sorta di preghiera laica». Quei nomi, tutti uguali, «li leggiamo uno in fila all'altro, sottovoce. Pensando all'immensa biblioteca che si potrebbe pubblicare mettendo insieme i Rosenberg, i Levi, i Klausner, i Coen...». Potrebbe sembrare un macabro gioco, ed è invece una pugnalata nel petto. Nella Germania nazista non andò come sulle coste della Normandia, quando il generale Marshall ordinò di rintracciare e mettere in salvo il "soldato Ryan", perché tre fratelli erano già morti al fronte. Nella Germania nazista sparirono nel buio molti milioni di uomini e donne, colpevoli soltanto di essere ebrei. Ricchi e poveri, gente di campagna e gente di città, vecchi e bambini, sani e malati. «Delle 100 Anne Frank - scrive Malini - ci restano una vicenda emblematica che tutto il mondo conosce, ma anche 99 diari non scritti: vite umane spezzate come steli di fiori nella tempesta. Esistenze fatte di gioie e dolori, di speranze e delusioni, di sentimenti e sogni, distrutte nell'indifferenza, nel fumo e nel fuoco». La piccola Anna Frank (quella che tutti abbiamo conosciuto) scrisse nel suo Diario: «Nonostante tutto credo ancora all'intima bontà dell'uomo... Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l'ordine, la pace, la serenità». Anna scrisse queste frasi prima di essere rinchiusa nell'inferno. Elisa Springer, sopravvissuta al campo di sterminio, ha raccontato che anche a Bergen-Belsen Anna «cercava ansiosamente almeno un mozzicone di matita, per poter scrivere qualcosa su quello che ci stava accadendo». Nessuna delle altre Anne Frank ha lasciato una memoria scritta delle sofferenze patite nei lager, o sui vagoni

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