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«Madonna? Come attrice è un disastro»

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Il regista contro Hollywood: gli Studios ti costringono all'ospedale psichiatrico

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Ho girato due film a Hollywood e mi hanno strozzato la vita: i manager degli Studios mi torturavano, ero pronto per essere ricoverato in un ospedale psichiatrico. Ma c'erano in ballo milioni di dollari e quando hai tanti soldi stai pur sicuro che nessuno ti dirà che sei un pazzo». Con queste parole Abel Ferrara, regista maledetto e/o ribelle (fate voi) ha dato il via all'attesissimo incontro con il pubblico del Festival Internazionale del Cinema di Mar Del Plata. Un migliaio di persone, con gente in piedi, hanno applaudito l'ingresso dell'autore di film-culto, quali «Il re di New York», «Il cattivo tenente» e «Addiction», e che al Festival argentino ha in cartellone, fuori concorso, il recente «Mary», con Juliette Binoche. «Chiedete tutto e vi dirò tutto, anche il nome del mio ristorante preferito», ha scherzato il discusso regista, considerato il profeta del cinema violento, al centro di racconti leggendari per i suoi metodi sul set. Di lui Madonna ha detto tutto il male possibile dopo la sua partecipazione a «Snake Eyes» e Claudia Shiffer non ha mai pronunciato il suo nome dopo aver girato «The Blackout». È andata meglio con Juliette Binoche, la Maria Maddalena di «Mary», che ha definito interessante la breve esperienza (solo una settimana di riprese) con Ferrara. Ferrara, è vero che sul set lei può essere incredibilmente amichevole o sorprendemente brutale con gli attori? «Questa della mia aggressività è una storia che ha messo in giro Madonna. La scelsi perché la consideravo perfetta per quel ruolo. Poi, davanti alla cinepresa si rivelò un disastro. Un altro regista si sarebbe suicidato scoprendo di avere nel cast un'attrice così negata. Io avevo delle responsabilità enormi di budget: Madonna prese 4 milioni di dollari e all'inizio il film era quotato solo 2 milioni di dollari. Alla fine delle riprese, però, il valore di "Snake Eyes" salì a 12 milioni di dollari». Quindi, non è vero che fa parte di quei registi che se ne fregano degli aspetti economici? «Sono un autore che preferisce indagare nel buio dell'inconscio, piuttosto che confermare ciò che già è noto, ma sono anche un professionista: sto attento alle spese e non farei mai un film che nessuno vuol vedere. Il disagio più forte l'ho provato alla prima americana di "Salò", di Pasolini: in sala eravamo in 15 e alla fine della proiezione restammo in 7, ricordo che ero bloccato, non riuscivo a varcare l'uscita». Si dice che stia preparando il prequel de «Il re di New York», il film che segnò la sua svolta professionale. «I miei avvocati dicono che non abbiamo il diritto di citare quel film. Perciò diciamo che sto lavorando al cast di un film che si chiamerà "The Last Crew" (L'ultima squadra ndr) e che il protagonista sarà un gangster di New York degli anni '70, realmente esistito».

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