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Statuette a Clooney e Hoffman Gli italiani a bocca asciutta

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Nessuno ha stravinto, nessuno ha perso, non si è dato spazio alle polemiche pronte in canna degli scontenti di mestiere. Il film-rivelazione «Brokeback Mountain», con l'amore gay tra due cowboys, ha vinto, ma un po' meno di quello che ci si attendeva, così nessuno si potrà lamentare che un film già molto premiato, anche a Venezia, sia stato ulteriormente celebrato. Il film sul lato umano dei guerrieri palestinesi suicidi, «Paradise Now», che tante polemiche ha suscitato, è stato nominato, e questo è una prova di apertura multiculturale della manifestazione, ma di Oscar non ne ha presi, dando un po' di soddisfazione a chi quel film proprio non l'ha digerito. Tre statuette cadauno ai quattro film favoriti e una pioggia su tutti gli altri, anche con qualche «colpo di rimbalzo», come l'Oscar a George Clooney come migliore attore non protagonista per «Syriana», quando Clooney forse lo avrebbe meritato più per la regia («Good Night, and Good Luck»), ma per la regia, si sa, la fila era già lunga. Unici delusi gli italiani. Nessuno dei candidati è stato premiato. «I segreti di Brokeback Mountain», che partiva come grande favorito (otto candidature) si è aggiudicato i premi per la regia (ad Ang Lee), per la sceneggiatura non originale (Larry McMurtry e Diana Ossana) e per la colonna sonora (Gustavo Santaolalla). «Crash. Contatto fisico», sulle assurde intolleranze che alimentano il razzismo, ha vinto la statuetta più prestigiosa, quella per il miglior film, e quelle per la sceneggiatura originale (Paul Haggis e Bobby Moresco) e il montaggio (Hughes Winborne). «Memorie di una geisha» si è aggiudicato i premi per la migliore fotografia (Dion Beebe), scenografia (John Myhre e Gretchen Rau) e costumi (Colleen Atwood). «King Kong», di Peter Jackson, che partiva con quattro candidature ha conquistato tre premi (effetti visivi, sonoro e effetti sonori). Un po' di delusione per «Good Night, and Good Luck», regia di George Clooney, che da sei nomination non ricava neanche una statuetta. «Truman Capote: a sangue freddo» e «Quando l'amore brucia l'anima - Walk the Line» vincono un premio ciascuno, rispettivamente miglior attore (Philip Seymour Hoffman) e migliore attrice (Reese Witherspoon). Migliore attrice non protagonista Rachel Weisz con «The Constant Gardener - La cospirazione»), mentre «Munich», di Steven Spielberg, film che molti hanno giudicato anti israeliano, resta a bocca asciutta. Miglior film straniero: «Il mio nome è Tsotsi», sulle gang giovanili di Johannesburg, che condanna alla sconfitta «La bestia del cuore» di Cristina Comencini. Non ce l'hanno fatta neanche Gabriella Pescucci, per i costumi di «La fabbrica di cioccolato» (ha vinto Colleen Atwood), e Dario Marianelli, per la colonna sonora di «Orgoglio e pregiudizio» (statuetta a Santaolalla). Il premio per il miglior documentario è andato a «La marcia dei pinguini». L'ha consegnato Charlize Theron al raggiante regista Luc Jacquet che alla serata si è presentato con quattro pinguini di pezza a grandezza naturale. L'unica vera grande sorpresa di una serata tutto sommato sotto tono (gli ascolti televisivi sono stati mediocri) l'ha riservata il grande maestro Robert Altman, al quale è andato il riconoscimento alla carriera. Il regista, 81 anni, accettando il premio da Lily Tomlin e Meryl Streep ha rivelato al pubblico che lo ha applaudito a lungo, in piedi, di essere stato sottoposto ad un trapianto di cuore undici anni fa, in gran segreto. Ha spiegato che si trattava del cuore di una trentenne e di avere quindi adesso un cuore quarantenne. «Secondo questi calcoli mi avete dato forse il premio un po' troppo presto - ha scherzato - Penso di avere ancora 40 anni di attività davanti a me e intendo usarli». E ha lasciato tutti a bocca aperta. Come nel suo stile.

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