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Modugno

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Quel suo «Nel blu dipinto di blu» divenne - in un batter d'ali - l'inno nazionale del boom. Di quella stagione in cui il nostro Paese sembrò affrancarsi non solo delle macerie della guerra, ma anche di una mai domata vocazione al piagnisteo. Mimmo portava tutti in quota, «più in alto del sole, ed ancora più su», con quelle note che, meglio della crescita del Pil e del piano Marshall, segnavano sul pentagramma il fondato ottimismo di un Paese intero. Nell'aprile 1994, 25 anni dopo l'assegnazione dei Grammy Awards per "Volare", il Maestro mi invitò nella sua villa sull'Appia: pur provato dall'oltraggio della malattia («mia moglie dice sempre che per colpa delle sigarette mi sono fumato un braccio e una gamba», rise), aveva una gran voglia di raccontarsi. Fu una conversazione indimenticabile. Il 6 agosto di quello stesso anno, Modugno si addormentò, guardando il mare dalla sua casa di Lampedusa. Oggi, condividiamo con voi quel nostro incontro di 12 anni fa con Mister Volare. Dal suo cilindro escono storie e volti di un'Italia in bianco e nero, che si tuffava nell'azzurro di una felicità mai più ritrovata. Totò e le donne nude. «Nel 1956 mia moglie aveva recitato con lui a teatro nello spettacolo "A prescindere". Così conobbì Totò, che mi invitò a casa sua: "Sa, caro Modugno, noi siamo colleghi". E mi fece ascoltare "Malafemmena", mi declamò "'A livella". Le nostre consorti diventarono amiche intime. La Faldini era preoccupata perché Totò, con il passare degli anni, stava perdendo la vista. E ce ne rivelò quello che temeva fosse il motivo. Il principe possedeva uno yacht, ma aveva paura di andare per mare. Così ordinava ai marinai di ormeggiarlo al largo della Costa Azzurra, che lui raggiungeva via terra. Poi si metteva sul ponte con un binocolo, per ore ed ore, a guardare le bagnanti nude. Quel riflesso del sole negli occhi lo stava rendendo cieco». Le tremila lire di De Sica. «Il mio sogno era di fare l'attore, non il cantante. Ero rimasto incantato da "Ladri di biciclette", un film che ti strappa l'anima. Scoprii l'indirizzo di De Sica, presi il coraggio a due mani e bussai a casa sua. Mi aprì un cameriere in livrea, io gli dissi che dovevo parlare al regista, che era "questione di vita o di morte". Vittorio si stava facendo la barba: mi lanciò uno sguardo da marpione. "Che vuoi", mi chiese, e io me la feci sotto, non ebbi il coraggio di dirgli che volevo lavorare con lui, fare del cinema. Preso dal panico e dalla vergogna, farfugliai: "Dottore, è Natale, devo tornare in Puglia dalla famiglia...". Lui non rispose nulla, mi fece dare tremila lire dal domestico. A quei tempi era una cifra. Molto tempo dopo, quando fu con me sul set de "L'onorata società", rievocammo quel primo incontro. Mi disse: "Ma quei soldi, te li diedi o no?". Una persona meravigliosa». Lo schiaffo a Dorelli. «A Sanremo '58, lui doveva eseguire "Volare" prima di me. Restò bloccato in quinta. Balbettò: "Non ce la faccio a uscire sul palco, mi tremano le mani". Ripensai a Chaplin, "Luci della ribalta", quella scena con la ragazza che si rifiuta di ballare. Allora mollai un ceffone a Johnny, credo che ancora gli fischino le orecchie. Poi fu il trionfo. Il giornalista Casalbore, un gagà napoletano che somigliava a Cutolo, prese a sventolare il fazzoletto bianco dalla tribuna stampa. E capimmo che avevamo vinto. A Roma, sapevo che un clan di amici attori aveva fatto il tifo per me. Paolo Stoppa, Rina Morelli, Delia Scala: segretamente riuniti in una casa vicino all'Eliseo». Volare con Chagall. «Frequentavo il Centro Sperimentale di Cinematografia con Franco Migliacci. Facemmo questo provino per il film "Carica eroica" di De Robertis, dove poi interpretai un soldatino italiano che cantava la ninna nanna a una bambina. Franco si incapricciò di comporre canzoni, io gli spiegai cos'era la strofa e il ritornello. Eravamo tutti e due appassionati di pittura, dei quadri di Chagall dove ogni cosa sembra librarsi in aria: cavalli, moto, persone. C'è una tela con un

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