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L'impronta sulle porte di New York e il codice segreto dei Vespri siciliani

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Già, cos'è la mafia? "È molto complicata da spiegare", disse Bellodi: "è… incredibile, ecco". Prova a spiegarla (e a raccontarla) un giornalista siciliano, Enzo Catania, formulando anche un'ipotesi storica sulle origini del fenomeno mafioso, con un libro ("Dalla Mano Nera a Cosa Nostra - L'origine di tutte le mafie e delle organizzazioni criminali", Boroli Editore, 24 euro). L'ipotesi è tutta nel titolo: l'antenata di Cosa Nostra fu l'organizzazione che operò negli ultimi due decenni del XIX secolo a New York, reclutando i nostri emigranti. La Mano Nera (che aveva come simbolo due spade incrociate sotto una mano) compiva estorsioni e delitti, e si specializzò nella protezione delle attività commerciali dietro il pagamento "d'u pizzu". "Fari vagnari u' pizzu" ("fare bagnare il becco") indicava - nel gergo criminale - la protezione offerta dai "picciotti". Di libri sulla mafia ne sono stati scritti migliaia, ma questo è uno dei pochi (se non il primo in assoluto) che indaga anche sulle origini storiche del fenomeno (spingendosi, persino, a fornire una genesi lontanissima del termine mafia, che potrebbe essere un acronimo di "Morte alla Francia, Italia anela" il grido dei rivoltosi nei Vespri siciliani del 1282, ripreso alla fine del Settecento da cinque massoni siciliani che battezzarono "Mafia" una società segreta. Nel 1886, sul piedistallo della statua della Libertà, a New York, apparve una scritta rimasta famosa: "Datemi le vostre folle stanche, povere, oppresse, che anelano a respirare aria libera, gli sciagurati respinti dalle vostre navi brulicanti. Mandatemi i senza patria sballottati dalle tempeste. Tengo alta la lampada accanto alla porta d'oro". Nel ventennio fra il 1880 e l'inizio del nuovo secolo furono oltre due milioni di italiani che emigrarono negli Stati Uniti. Vivevano in ghetti miserabili e diventavano facile preda delle organizzazioni criminali come la Mano Nera. La chiamarono così perché "sugli usci di casa comparve l'impronta di una mano sporca di carbone". La mafia - beninteso - già esisteva. Nel 1862 era stata rappresentata, in molte piazze italiane, una commedia intitolata "I mafiusi della Vicaria" (citata più volte, nelle sue interviste, anche da Leonardo Sciascia). Gli autori avevano scelto quel titolo dopo aver sentito per strada a Palermo questa frase: "Chi vurristi fari, u mafiusu cu mia?" ("Che vorresti fare, il mafioso con me"). Ma il termine non era ancora diffuso. In Sicilia c'erano le sétte, le ""fratellanze", a metà strada fra le società di mutuo soccorso e le combriccole di "uomini d'onore" o "di rispetto". Clan, spesso misteriosi. Ma a quei tempi di carboneria, la riservatezza si respirava un po' dovunque. Rosolino Pilo garantì a Garibaldi l'appoggio di molti "picciotti" che fecero la loro parte per assicurare il successo ai Mille. Poi, dopo l'Unità, altri "picciotti" scelsero la macchia per combattere i piemontesi. Ma era ancora un fenomeno a mezza strada fra il Rotary e il patriottismo. La criminalità - e le sue regole spietate - arrivò con la Mano Nera, che esportò in Sicilia i metodi cruenti sperimentati negli Stati Uniti. Esisteva un cordone ombelicale, che legava gli emigrati siciliani all'isola. Nel 1909 ne fece lo spese il poliziotto italo americano Joe Petrosino (che indagava sui collegamenti fra la malavita di New York e quella di Palermo) che, in missione in Italia per il suo lavoro, fu assassinato nel capoluogo siciliano. La storia della "Piovra" è carica di agguati mortali ai danni di chi tentava di combatterne i crimini. L'elenco delle vittime è noto, notissimo. Ma vale comunque la pena di ricordare alcuni dei nomi più noti: Carlo Alberto Dalla Chiesa, Ninni Cassarà, Boris Giuliano, Beppe Montana, Emanuele Basile, Mario D'Aleo, Giuseppe Russo, Rocco Chinnici, Gaetano Costa, Cesare Terranova, tutti servitori dello Stato. E poi gli u

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