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Dilaga la moda dei consigli terapeutici sul video. E i protagonisti diventano dei divi

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Tutti in analisi col telecomando

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Soggetti (e Woody non lo nasconde) ideali per il lettino dello psicoanalista. Lo strizzacervelli, come viene definito in uno slang che accomuna East e West Coast. I ritratti che il grande Allen fa dei suoi tremebondi, complessati, annaspanti personaggi sono fra le più belle immagini di un certo cinema americano e sono, non si sa quanto involontariamente, anche un bel po' di cianuro versato nei calici degli analisti. Ma la psichiatria, oggi, ha ancora un senso, è ancora una scienza o va assomigliando sempre più ad un farmaco da banco che chiunque può procurarsi in farmacia o, nel caso, in uno studio tv, quasi come il sale magico di Vanna Marchi? Opportunamente dotati di baffi e chiome fluenti, gli psicanalisti, con in testa Crepet, Meluzzi e Morelli, che hanno «occupato» in pianta stabile gli studi di varie reti, dispensando in pillole gli insegnamenti del padre sommo, Sigmund Freud, appaiono al pari di nuovi oracoli, intenti a placare le ansie di autocoscienza del popolo. Ma ha un senso tutto ciò? Risponde senza falsi pudori Alessandro Meluzzi, docente di genetica del comportamento umano all'Università di Siena e di psicoendocrinologia all'Università di Torino. E nelle sue risposte si leggono le difficoltà ed anche, in qualche caso le sofferenze, di un «mestiere» che mette a contatto con le più devastanti condizioni dell'umanità. «Certo, vado in tv e come me ci vanno altri colleghi. Ci possono essere affinità, ma poi ciascuno porta il suo essere terapeuta che è diverso da tutti». Ma tutta questa tv non fa male? Lei perché ci va, per soldi? «Non credo proprio...anzi, all'inizio ero pure perplesso per tutto quel tempo davanti alle telecamere. Ma poi ho visto che le critiche, quando c'erano, non erano perché stavo troppo lì, ma semmai per alcune cose che dicevo. E mi sono convinto che non c'era rischio di sovraesposizione, ma semmai di incomprensione». E la deontologia professionale? «I codici etici esistono comunque: non si parla di situazioni che non si conoscono bene, si parla del tema e non del personale, insomma c'è la deontologia della psicotelevisione». Raffaele Morelli medico, psichiatra e psicoterapeuta e dirige da molti anni la rivista Riza Psicosomatica, si ritiene non etico, ma molto etico e molto seguito dal pubblico televisivo. «Mi segue sì, ma non è consolante. Dodici milioni di italiani prendono psicofarmaci e se guardano lo psichiatra in tv non è perché si divertono. È perché stanno male e cercano uno spiraglio. Esprimono pareri diversi perché emerge l'anima e l'anima è contraddittoria. Il cervello invece è pratico, ma noi lo trasformiamo in una fonte inesauribile di masturbazioni mentali». Ma, anche fra i «divi della psichiatria a 28 pollici» ci sono opinioni non sempre coincidenti ed è chiaro che può essere solo così, in un campo dove è valido tutto e il contrario di tutto perché così è l'uomo, contraddizione avvitata su se stessa. Nel libro «Buongiorno lettino», Corinne Maier estremizza questi concetti rifacendosi a quell'eretico della psicanalisi che fu Lacan, riconoscendo che «siamo tutti malati e non ci sia nulla di più di serio di chi si rivolge allo psicanalista perché ha capito che ha bisogno di capire di più». La Maier, economista, psicanalista e scrittrice, è tranchant con gli psicologi in tv: «Mi chiedo se sia il posto giusto: molti danno consigli su questioni sociali facendo riferimento a norme che non esistono e questo è un peccato». Ma Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, docente di Culture e linguaggi giovanili all'Università di Siena ritiene che la presenza in tv degli psichiatri sia se non indispensabile, quantomeno utilissima e, sicuramente etica: «Certo, perché io, sono etico e non faccio mai cose contro l'etica. Guardi, non è una delizia andare da Vespa ma un cavallo di Troia, entri dentro nel salotto degli italiani. È che parlare male della tv è tipi

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