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Anche Bambi deve lavorare se vuole vivere

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Arriva il sequel del classico Disney. A molti piace, ma c'è chi grida al sacrilegio

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Ma alla fine gli addetti ai lavori hanno promosso «Bambi 2 - Bambi e il Grande Principe della foresta», sequel del cartone animato-mito firmato da Walt Disney nel 1942. Il nuovo Bambi è da ieri nelle sale cinematografiche italiane. Per arrivare davanti al pubblico ha dovuto superare un cammino pieno di perplessità, ma alla fine i realizzatori della Disney hanno deciso che, anche se il personaggio è nato nell'epoca d'oro del fondatore Walt, neanche un mito può dormire sugli allori. Se Bambi voleva vivere e non essere dimenticato doveva... tornare a lavorare. Tra il 2000 e il 2001, quando alla Disney si cominciò a parlare seriamente di un sequel di Bambi, dopo 60 anni dal primo film, i primi ad avere delle perplessità furono proprio coloro che lo dovevano realizzare. «Eravamo tutti intimoriti da un progetto simile - ha spiegato il regista Brian Pimental - Ma sotto l'aspetto puramente visivo si tratta del film a cui tutti gli animatori aspirano di lavorare. Il primo Bambi è stato realizzato in un'epoca in cui i film d'animazione avevano raggiunto un'eccellenza artistica mai sperimentata in precedenza». Preoccupato anche il produttore Jim Ballantine: «Ci sentivamo tutti sotto pressione. Per qualsiasi amante dei film Disney, Bambi è una pietra miliare della cinematografia, il classico dei classici. L'idea che stavamo per creare il sequel di una simile icona ci spaventava». Ma alla fine, nonostante le preoccupazioni, alla Disney hanno deciso di tentare l'impresa, per dare, nel rispetto della tradizione, un nuovo Bambi ai piccoli di oggi. Qualcuno ha parlato di operazione commerciale. «Ma il cinema è un'operazione commerciale», ha commentato Dino Caterini, direttore generale della Scuola Internazionale di Comics, un'istituzione che ha corsi specifici di animazione nelle sedi di Roma, Firenze e Iesi. «E i cartoni animati non sfuggono a questa logica - aggiunge Caterini - Non si tratta di stabilire se ci siano o no interessi dietro al film, ma come è stato realizzato il film stesso. Nella nostra scuola si usa lo stesso programma di computer degli studi Disney, un metodo che conosciamo bene, e l'importante nel realizzare il nuovo Bambi è che si sia rispettata la tradizione. Se si fosse usato il sistema giapponese allora sì che sarebbe stato un sacrilegio». E promuove il nuovo Bambi anche il padre del cinema di animazione italiano: Bruno Bozzetto, che proprio in questi giorni sta lavorando a una nuova mini-serie Tv, «I Cosi», in collaborazione con lo studio «Maga animation». La serie sarà ultimata alla fine del mese e successivamente sarà trasmessa dalla Rai. Bozzetto affronta la polemica con il consueto umorismo (se qualcuno lo chiama Maestro, e sono molti, risponde: «Per carità... non sono neanche bidello»). «Bambi - spiega il papà del signor Rossi - per me è uno dei film più belli, mi è rimasto nel cuore. Ho visto le scenografie del nuovo film in anteprima e devo dire che sono molto ben fatte, da un punto di vista tecnico il film sicuramente mi ha convinto». Certo, qualche perplessità ce l'ha anche Bozzetto: «Tutto sa molto di operazione commerciale, direi più puntata al mercato del dvd che al cinema». Ed effettivamente il film, negli Stati Uniti, ha «saltato» le sale cinematografiche ed è uscito direttamente in home video, ed è un peccato perché l'accuratezza di molte scene può essere apprezzata solo sul grande schermo. D'altro canto c'è da dire che Bambi 2 si rivolge a un pubblico di bambini anche molto piccoli che abitualmente hanno qualche difficoltà a stare nella sala cinematografica. Per questo i genitori preferiscono dvd o videocassette. «Il problema di Bambi 2 - prosegue Bozzetto - è che manca la direzione di Walt Disney, ed è un'assenza che pesa, anche se alla fine viene realizzato il film più bello del mondo. Ma a parte questo - conclude - dobbiamo considerare i personaggi dei cartoni animati come degli attori... nessuno si stupisce se fanno tanti film». Insomma se Bambi vuole vivere e restare un mito deve lavo

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