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Cinema noir, 90 anni ma non li dimostra

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Dalla trilogia di von Sternberg degli anni '20 a «L. A. Confidential» dei giorni nostri

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La collana comprende per ora «Lo specchio scuro» di Siodmak, «Le forze del male» di Polonsky e «Nella morsa» del geniale Max Ophuels. Sul finire degli anni Venti negli Stati Uniti si affaccia la rivista «Black Mask», pubblicando i primi racconti gialli di autori di fama, e nel '27 il regista Josef von Sternberg anticipa lo stile che caratterizzerà per buona parte il cinema noir, con la famosa triologia composta da «Le notti di Chicago», «La retata» e «I dannati dell'oceano». Sempre gli Stati Uniti saranno la patria di fondamentali romanzi dell'"hard boiled" come «Il falcone maltese», dei dipinti di Edward Hopper che ritraggono paesaggi urbani cupi e desolati, e di gangster movies come «Piccolo Cesare» di Mervin LeRoy, «Nemico pubblico» di William A. Wellman e «Scarface. Lo sfregiato» di Howard Hawks, in cui è già interessante notare come tali vicende di crimine e corruzione quasi si autocensurino. Ma è il realismo poetico, e più tardi il "polar" vero e proprio, che determina, prima in Francia e in seguito in Europa, un'ideologia cinematografica-letteraria-artistica, tutta improntata a definire lo stilema intorno al tema del protagonista che tenta di sottrarsi al fardello del ricordo - leggi «peso del proprio passato» - di cui di film in film, si aggiungeranno quello dell'amore folle od ossessivo che segna il destino di una coppia in fuga, o persino quello di un perfetto innocente che per chissà quale gioco dell'assurdo si ritrova ad essere un sospetto omicida. Le atmosfere torbide e deprimenti sono meglio rese dalla valenza impressionista tipica di molte sequenze presenti in questi film: entra nell'occhio dello spettatore a creare il giusto percorso da incubo. L'Ulmer di «Detour - Deviazione per l'inferno» dirigerà con quello un'opera che negli Stati Uniti del '45 può a buon diritto considerarsi il più sincero prodotto che segna un filo ininterrotto con Renoir: non solo, ma anche con Duvivier e con Carné. Dieci anni dopo, le goffe inettitudini lasciano il posto alla visionaria violenza, quella mostrata dal detective Mike Hammer nello sbrigare le faccende di «Un bacio e una pistola» di Aldrich, creatura anche questa dovuta ad una penna bollente (MIke Spillane), che nella cornice d'un lirismo qui esageratamente perverso catapulta chi osserva il film in un mondo in decomposizione, ma solo perché intanto sono cambiati i tempi e sempre più congenita si è fatta la più radicale delle soluzioni, la minaccia nucleare. Resta la costante amara della solitudine del protagonista. Un vuoto questo, parte apparentemente più debole dei protagonisti, che passano alcuni anni e il Delon/samurai di «Frank Costello, faccia d'angelo» non fa che trasferire in una Francia asettica, prendendolo di forza da frasi attribuite al Bushido, l'antico codice morale dei guerrieri giapponesi, con l'effetto di renderlo però capitolo di orgoglio oltre che un concentrato di robustezza in un "neovillan" decisamente robotizzato. Il noir continua a prosperare ai giorni nostri come un riflesso del periodo classico, e lo fa con film come «L.A. Confidential» di Curtis Hanson ed in Francia «36» di Oliver Marchal, rifacimento ambizioso del già celebre «Quai des Orfevres».

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