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La mia Bibbia folk

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Tango, valzer, che cha cha, rumba e bolero in una miscela di incursioni bandistiche, ritmi deflagranti e trame hip hop, come la taranta techno dal titolo «Moskavalza», arrangiata «subsonicamente» dal dj nipponico Gak Sato. A lui si deve il tocco di strumenti quali theremin, gamelan e sonagli vari, efficace contrappunto allo spirito sciamanico di Capossela. Il singolo canonico estratto dall'album è il mea culpa «Dalla parte di Spessotto», già in programmazione radiofonica, mentre avventuroso e zigzagante l'ascolto svela uno scenario mitologico, fatto di comandamenti, Meduse tentatrici, inni pagani, satiri, bevitori, archetipi umani e shakesperiani, passando per l'Edipo pasoliniano, e per i kolossal «C'era una volta in America» e «Gangs of New York», con il banjo e il dobro di Marc Ribot, vero purosangue della chitarra. Alla fine, però, il disco è dedicato a Matteo Salvatore, l'ultimo dei briganti e il primo fra i cantautori; «maestro - scrive Capossela - che ha lasciato la sua pietra di cava nuda come una chiesa senza la croce». Allora Vinicio, qualche mese fa aveva parlato di un lavoro sulla Bibbia, ma invece dei Vangeli apocrifi ci ritroviamo catapultati nei gironi danteschi. Come mai? «Qualcosa di biblico c'è, ma in generale è un disco sull'uomo. Spesso le Scritture, ma non solo quelle bibliche, anche tutta la mitologia pagana e tutte le cose primitive offrono lo spunto per testi molto visionari, immagini forti e per personaggi che sono universalmente comprensibili». Come Spessotto? «Spessotto ha qualche parentela con il personaggio di Jona, un evaso dal compito. Quand'ero piccolo avevo un modo di dividere quelli che erano nei guai da quelli che erano a posto. Spessotto era un mio compagno delle Elementari e faceva parte di quelli "nati dalla parte di sotto", quelli che a sei anni sei fuori di casa e sei già perduto. Tutto il disco è costruito su questa contrapposizione, sull'antitesi tra qualcosa che ti aggredisce e qualcosa che devi proteggere. C'è una frase dell'Ecclesiaste che è illuminante: sulla terra non c'è chi è capace di fare il bene senza fare il male. C'è il tempo di partire e il tempo di tornare, si sta dalla parte dell'uno o dalla parte dell'altro in una continua dialettica. Il titolo del disco esprime qualcosa di molto umano: "Ovunque proteggi" e non "proteggimi", come i classici magneti anni '70 da cruscotto. Vuol dire che la protezione delle cose che ami è affidata a te. Questo è l'uomo così come è stato messo nel nudo della terra, piena di belve, di gente che ti tende agguati, di visioni e deità che si immaginano e non si vedono lungo la strada o "pellegrinaggio", se lo si vuol vedere sotto una luce più biblica». In «Dove siamo rimasti a terra», il tema del violino cinese è tratto dal «Deborah's theme» di Ennio Morricone. Cosa le ha detto il maestro? «C'era una volta in America è stata per me una pellicola iniziatica. Con un mio amico abbiamo l'abitudine di chiamarci Nutless per questo film e allora mi è sembrato doveroso citare il tema in maniera subliminale. A dire la verità, ho cercato invano per due mesi la collaborazione di Morricone, ma al maestro non interessa più fare arrangiamenti». Tom Waits, Buscaglione, Modugno, Matteo Salvatore: qual è il suo idolo-ispiratore? «Di quelli citati, Salvatore è quello che ha avuto l'influenza maggiore. Waits semmai da giovane. Certo, anche lui è un maestro, ma non è un archetipo, è un elaboratore di musiche».

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