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Gli occhi indiscreti del

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I fotografi e la musica ribelle

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Critico musicale specializzato in springsteenologia il primo, apprezzato fotografo rock il secondo, entrambi fan della prima ora del Boss, qualche mese fa se ne sono andati a spasso per una quindicina di giorni nel New Jersey seguendo, come due detective, le tracce lasciate dalla rockstar americana, che in quei luoghi c'è nato e cresciuto, e dove è tornato a vivere dopo una breve parentesi californiana. Ne è venuto fuori uno spaccato inedito ed inaspettato del mondo che al Boss ha ispirato la maggior parte delle sue canzoni, dove si sono sviluppati i protagonisti delle sue storie, dove è nato il suo sogno americano e dove è anche iniziata la sua disillusione. Non è una biografia, non ce ne sarebbe stato bisogno, e neanche un album fotografico, troppi anche quelli. Siamo piuttosto in presenza di una indagine "altra", di un tentativo di superare l'idea stessa della celebrazione editoriale per «rovistare nel retrobottega di un'America malmessa», come dicono i due autori, e quindi ne è venuto fuori un «libro di ritagli: le facce, i sorrisi, i luoghi, i bar, le strade, le case del mondo reale di Bruce», un armamentario di archeologia umana, urbana ed industriale splendidamente documentato dalle immagini virate "day after" di Giovanni Canitano. Forse è la prima volta che un fotografo rock si avventura fuori della ritrattistica convenzionale, la rockstar non è più il fine ma il mezzo. Un cambio di direzione, lo sguardo che si sposta da un'altra parte, la scena che diventa protagonista, quasi un sacrilegio. «Sul bus che lo portava in tour, Bruce aveva il suo posto in fondo. Da lì guardava l'America scorrere fuori dal finestrino. Messa così sembra una figata, ma non lo era, perché i motori erano nella parte posteriore e lì tremava tutto». Parole di Lynn Goldsmith, fotografa e "casualmente" fidanzata di Springsteen nel 1978, suoi i famosi ritratti del Boss con montagne di cerchi d'auto cromati sullo sfondo. Fu la casualità, all'epoca, a determinare la carriera rock di alcuni fotografi. Sarebbe diventato un fotografo rock l'inglese Paul Saltzman, se non avesse per caso incontrato i Beatles presso l'ashram di Maharishi in India durante il loro viaggio spirituale nel 1968 ed i suoi scatti non avessero fatto il giro del mondo? Scatti che si trovano ancora esposti nella Morrison Hotel Gallery, al 124 Prince Street di Soho, a New York. Il proprietario è Henry Diltz, uno che negli anni '70 ha lasciato il segno, sue le copertine di «Morrison Hotel» dei Doors e di «Late For The Sky» di Jackson Browne, fra le tante. Un altro posto dove lasciare i propri occhi, se non si hanno un bel po' di soldi per portarsi via qualche stampa, è la Blink Gallery, a Londra, dove è esposto il meglio della fotografia rock mondiale. Per tornare alla casualità di cui sopra, anche l'inglese Gered Mankowitz aveva iniziato per caso, fotografando a soli 18 anni una acerba Marianne Faithfull, all'epoca (nel '65) assidua frequentatrice dell'entourage Rolling Stones, dei quali diventerà ben presto il fotografo ufficiale. Al contrario degli oggetti dei loro scatti, pochi fotografi rock sono diventati delle star: fanno eccezione l'americana Annie Leibowitz e Jim Marshall, forse il più bravo in assoluto, (a lui è ispirato il fotografo interpretato da Dennis Hopper in «Apocalypse Now» di Coppola), fedelissimo del bianco e nero, ineguagliabile il suo ritratto di Miles Davis vestito da pugile all'angolo del ring. Fa eccezione anche Elliott Landy, testimone dell'epopea di Woodstock, (sua la cover di «Nashville Skyline» di Bob Dylan) che così descrisse il suo lavoro: «Essere stato presente nel 1968 ai grandi concerti psichedelici tenutisi nel Village di New York con Jimi Hendrix, Jim Morrison, Chuck Berry, o al Newport Folk Festival con Joan Baez, Pete Seeger, Janis Joplin o, infine, a Woodstock, cambiò profondamente la mia vita e il mio modo di fotografare. Prendere foto dei cantanti divenne per me un

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