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Genitori e figli uniti dalle fiabe per riscoprire il senso delle cose

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Da illustri ricerche risulterebbe infatti che i piccoli connazionali non hanno più nessuno che racconti loro una favola prima di addomentarsi. I nostri marmocchi hanno dunque perso il privilegio, e probabilmente non ce l'hanno mai avuto, di ascoltare da mamma e papà tante storie avvincenti che cominciano con «C'era una volta...» e chissà dove vanno a finire. È pur vero, però, che gli adulti continuano ad avere una gran fame di favole e racconti fantastici. Basterebbe sottolineare il grande interesse per le fiction tv, che poi sarebbero meravigliose fabbriche di sogni. Le eroine catodiche strizzano l'occhiolino alle protagoniste delle favole, le maliarde rifanno il verso alle matrigne spietate. Alla fine il bene trionfa sul male (ci mancherebbe!!), le spose ritrovano gli sposi e i poveri diventano ricchi. Come se una gigantesca e invisibile bacchetta magica rimettesse in ordine i tasselli del puzzle. Del resto la formula è molto semplice: ritrovare in noi un mondo bambino, quello che siamo stati e che fa parte del nostro essere, anche se pensiamo di averlo dimenticato per sempre. Recentemente è passata da Roma la psicoterapeuta americana Barbara Sheppard Williams, allieva del grande psicologo per l'infanzia Carl Rogers, che ha fondato un famoso laboratorio del gioco. Partecipare al suo workshop è un'esperienza unica. Seduti in circolo gli adulti sono invitati dalla Sheppard Williams a chiudere gli occhi ed andare indietro nel tempo, sempre più lontano alla ricerca dei ricordi legati ai giochi dell'infanzia. C'è chi si rivede sull'altalena, su e giù, con l'ebbrezza del vuoto e il senso dell'impresa. C'è chi rivive la conquista della prima corsa in bicicletta, chi il sapore della caramella alla menta che la suora dava come premio all'asilo, chi il profumo della cotognata spalmata sul panino a merenda. «Leggere le favole e raccontarle ai propri figli è mezzo efficacissimo per tornare a questa dimensione fanciullesca - spiega la psicologa - e lo scopo non è soltanto ritrovare una dimensione autentica del proprio io quanto il facilitare una comunicazione con i propri bambini, conquistare la capacità sempre più rara di poter giocare con loro». I consigli? Semplici ed essenziali. Una cameretta francescana (al bando le centinaia di inutili giocattoli regalati a quintali per liberarci da sensi di colpa), il genitore seduto per terra o comunque ad altezza di bambino, una famigliola di piccoli animali di plastica con la quale costruire le storie oppure le marionette da far gesticolare nelle mani (quando si fa parlare la marionetta è importare non guardare il bambino ma concentrarsi sul pupazzo). «Vietato imporre dei giochi che il bambino non vuole fare, vietato insistere quando il piccolo è stanco» raccomanda la Sheppard Williams. Il racconto di una favola è fluido, scivola come miele, non ha un inizio nè una fine. Ne sa qualcosa la scrittrice Barbara Alberti che quest'estate mentre era in vacanza al mare ha intrattenuto i turbolenti figli di amici comuni con la favola infinita della scimmietta Ghibli. «Tutto è cominciata sul traghetto che ci portava in Sardegna - spiega l'Alberti - quando ho raccontato che i miei genitori ancora prima che nascessi acquistarono una scimmietta chiamata Ghibli. Ben presto la bestiola cominciò a fare dispetti agli altri componenti della famiglia. I nonni, gli zii, i vicini di casa... Acchiappava le galline e le spennava, ingaggiava battaglie con i gatti, si nascondeva nella dispensa divorando il cibo conservato ecc. ecc. E allora abbiamo passato tutte le vacanze a raccontare storie su Ghibli sempre più fantasiose e arricchite anche da episodi del tutto inventati lì per lì. Ridendo come matti, io e loro insieme». Tra le malefatte della terribile scimmia anche quella di essersi nascosta nella torta di compleanno del bisnonno novantenne, morto di paura alla vista dell'animale sbucar fuori dalla panna, oppure travestirsi da fratello dell'Alberti e andare in classe al posto

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