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«Il mio dono per difendere la vita umana»

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Un giovane zazzeruto, e dall'aspetto eccentrico, passa rombando sulla sua Harley accessoriata di sidecar. Seduto a un tavolino del bar Rosati, un signore di mezza età - la quasi-pelata seminascosta sotto un cappello di feltro, imbacuccato con uno sciarpone vermiglio, gli fa cenno di accostare. «Creaatuuuraaaa! Dove vai di bello? Perché non mi porti a fare un giro?», gli urla con un inconfondibile accento romagnolo. «A quel punto Fellini salta nel mio sidecar», ricorda divertito Renato Zero. «Andiamo su fino al Pincio, torniamo giù, ma lui sbuffa: "creatura, già finito?". Allora ce ne andiamo in giro per tutta Roma, arriviamo fino all'Alberone. Ogni semaforo rosso per lui era una festa. Federico scrutava a fondo la gente, e nella sua testa nascevano mille personaggi. Era felice, come se per una volta fosse tornato sulla "strada", lontano dalla gabbia dorata di Cinecittà». Renato Fiacchini, non ancora Zero, prese così a frequentare i set del Maestro. «Mi sentivo qualcosa di più di un figurante. Gli dicevo: a Federì, e famme un primo piano, un profilo, ricompensame 'sto sacrificio. Si girava di notte, e i miei stavano alzati per aspettarmi, tutti preoccupati. Lui prometteva, prometteva. Ma nel "Casanova" mi riprese di spalle, vicino a un organo; nel "Satyricon" mi fece indossare una maschera di lattice, e parevo una mignotta greca. Per "Roma" mi fece schizzare via veloce su una moto. Diceva: "creatura, non espongo alla mercé dell'obiettivo quelli cui voglio bene...". E Giulietta, obiettavo? "Beh, è diverso, lei è un'attrice", mi fulminò. E appresi la lezione». Perché anche gli istrioni hanno un talento solo, e quello di Renato era il canto. «Ma avevo anche provato a danzare», protesta lui. «Nel 1967 ero nel gruppo di ballo di Franco Estil. Facevamo coreografie al Brancaccio, per introdurre i musicisti prima dei loro show, come a Las Vegas. Una sera, lì sul palco, mi allaccio una scarpa e davanti al mio naso passa questo chitarrista di colore. Jimi Hendrix. Per poco non mi prende un colpo. Dopo lo spettacolo l'impresario Massimo Bernardi lo convince ad andare nel suo locale, il Titan, allora concorrente del Piper. Così, Jimi accetta di suonare in una infuocata jam session con il bassista dei Baronetti e Albertino Marozzi, l'amico di Verdone, alla batteria. Poi eccolo lì, Hendrix, convinto da Marozzi a fare una scorribanda in Cinquecento...». Tempi in qualche modo eroici, e certo insidiosi. Pasolini non era ancora stato assassinato. «I miei amici della Montagnola mi raccontavano cose inquietanti su di lui: non mi sarebbe venuta voglia di frequentarlo. Poi mi sono incuriosito ai suoi scritti, e ho capito che Pier Paolo non è mai morto davvero. Ancora oggi tiene i suoi occhi aperti su questo mondo, la sua poesia e la sua coscienza civile sono tra noi. Preziose». Renato pubblica oggi il suo nuovo cd, "Il dono", in cui accanto a brani più divertiti (come "Fai da te" grottesco e umoristico, sulle defaillance sessuali maschili) e causticamente zeriani, ne compaiono altri ("L'esempio", "Una vita fa", "Dal mare", il singolo "Mentre aspetto che ritorni") dagli arrangiamenti orchestrali, di grande ispirazione, destinati a diventare dei classici del suo repertorio. Tra questi, "La vita è un dono", dedicato alla sua nipotina, ma anche e sopratutto a papa Wojtyla. «L'avevo scritta un anno fa, e incisa con questo arrangiamento perché esisteva la possibilità che lo incontrassi. Purtroppo non è stato così. Dopo la sua scomparsa non vedo nessuno che possa raccoglierne l'eredità morale. Nel Novecento abbiamo avuto questi grandi spiriti che si sono inseguiti: Giovanni Paolo II, Gandhi, Madre Teresa. D'altro canto, oggi è un'impresa titanica per chi deve diffondere il messaggio cristiano, i cambiamenti della società sono troppo repentini e spiazzerebbero chiunque...» Come nel dibattito sull'aborto e sulla pillola RU486. «Da cattolico, considero l'interruzione di gravidanza una forma di repressione al confine con la profilassi, un'offesa alla vita. Ormai dovremmo essere tutti in gr

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