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Un cofanetto celebra la leggendaria registrazione di «Born to run»

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Occorreva fuggire dall'incubo del Vietnam - a guerra finita, gli amici che riuscivano a tornare a casa, sembravano ancora persi nel cuore di tenebra della giungla - dall'incombente crisi petrolifera, dal disagio esistenziale che ti bracca quando hai intorno ai vent'anni. Per Bruce Springsteen la salvezza era affidata al volante di una vecchia Chevrolet del 1957, con quattro carburatori e la carrozzeria modificata. L'aveva comprata per duemila dollari, e spingeva sull'acceleratore per vedere come sembrava il mondo qualche chilometro più in là della sua Asbury Park, sulla costa del New Jersey. Era quella, su quattro ruote, la sua vera stanza mobile, l'abitacolo dove far convivere innocenza e inquietudine, esaltazione artistica e nomadismo dell'anima. Un giorno scese dalla Chevy e prese in affitto - per la prima volta in assoluta solitudine, senza l'angoscia dei conflitti familiari - una casetta a Long Branch. «Lì - racconta il Boss - con un piccolo piano Aelion piazzato dietro la finestra della veranda, cominciai a comporre le canzoni di "Born to run". Riempivo taccuini su taccuini per i testi, e man mano mi appariva sempre più chiaro che i personaggi che stavo creando non erano, come nei miei dischi precedenti, immediatamente identificabili con il New Jersey, con quelli che incontravo dietro l'isolato. Erano figure che potevano appartenere a qualsiasi angolo d'America, e forse del mondo. Uomini e donne che tentano di uscire dalla propria condizione di isolamento spirituale, per trovare un altro posto. Anch'io sentivo che dovevo andare altrove, ma non sapevo esattamente dove». Quello spiazzamento post-adolescenziale generò un disco leggendario, "Born to run", "nati per correre", che Springsteen pensò «come una sorta di invito a scoprire cosa nasconde quel passaggio d'età, quando non sei più un ragazzino e devi prenderti le responsabilità dell'adulto, modificando le tue aspettative per la libertà personale e per l'amore». Stasera, nei cinema americani, verrà celebrato il trentesimo anniversario dalla pubblicazione (anche se in realtà era arrivato nei negozi nell'agosto 1975), con la proiezione di molti estratti dei due dvd inclusi nel cofanetto che comprende anche l'album rimasterizzato, in uscita proprio oggi. Spiega Bruce: «Riascoltando ora quelle canzoni, mi piace immaginare che tutta la narrazione si svolga in una sola, interminabile notte d'estate, e che i temi in ballo siano le speranze ancora intatte per il futuro, le amicizie perdute, le scorribande nella sterminata provincia della Costa Ovest; tutte presentate in arrangiamenti epici e con immagini di taglio cinematografico. Brani preceduti da lunghe introduzioni: il pubblico sentiva che lì dentro, in quegli scenari rock, stava per succedere qualcosa di propizio». C'è poi, nel box celebrativo, un documentario sulla preparazione di quello che allora appariva come il long-playing decisivo della sua carriera, ricco di interviste ai membri della E Street Band, al produttore Jon Landau (era un critico musicale, e la prima volta che ascoltò il Boss scrisse: "Ho visto il futuro del rock'n'roll») e allo stesso protagonista, impegnato a ripercorrere i giorni in cui comparve, quando non era una superstar, sulle copertine di "Time" e "Newsweek". Ancora, nella confezione, ecco le immagini (restaurate) di un intero concerto, quello che Springsteen tenne all'Hammersmith Odeon di Londra il 18 novembre 1975. Spinti dalle aspettative della casa discografica, i musicisti erano sbarcati per la prima volta in una Gran Bretagna diffidente, del tutto decisa a non farsi usurpare il ruolo di patria del rock della seconda generazione, quella a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. «Andai in anticipo nel teatro, e cominciai a strappare tutti quei volantini che mi descrivano come il nuovo fenomeno. Poi feci il mio lavoro: alla fine pensai di non aver suonato così bene. Ma dovetti ricredermi: sfido le giovani band di oggi a riproporre un simile repertori

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