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L'insegnamento di San Gregorio Magno: una vita fondata sull'umiltà

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Ogni sua parola, ogni suo gesto erano ispirati dalla sua profonda devozione cristiana. Viveva poveramente, in santa umiltà, e nient'altro possedeva se non una vigna. Ma un giorno su di essa si abbatté la violenza della grandine: restarono solo poche viti e qualche stentato grappolo d'uva. Prossima, d'altra parte, era la vendemmia e Bonifacio dette disposizione a suo nipote Costanzo, proprio come faceva tutti gli anni, di preparare tutte le bottiglie che c'erano nell'episcopio e di impeciare tutte le botti. Lui stesso, poi, andò nella vigna a cogliere i grappoli e ordinò a un ragazzo di pigiare l'uva. Pochissimo il succo che ne colò: a contenerlo bastò un piccolo vaso. E tuttavia Bonifacio lo divise tra le botti e le bottiglie che aveva fatto preparare, così come si fa con il pane consacrato, riuscendo a versare un po' di vino in ogni recipiente. Subito dopo ordinò al presbiterio di chiamare i poveri della zona. Allora il vino cominciò a crescere nel tino, tanto da riempire tutti i vasi che essi avevano portato. Fatta la distribuzione, Bonifacio chiuse la cella, la sigillò col suo anello e tornò in chiesa. Due giorni dopo, chiamò Costanzo e, recitata con lui una preghiera, riaprì la cella: i recipienti nei quali aveva versato poche gocce di vino ora traboccavano, e tale ne era la quantità che avrebbe inondato il pavimento se il vescovo fosse giunto in ritardo. E tuttavia Bonifacio non volle che il presbitero rivelasse ad alcuno il miracolo: vero prodigio, infatti, è una vita esemplare, fondata sull'umiltà, qualunque possano essere i doni che Dio, nella sua generosità, voglia farci. Questa lezione è continuamente ribadita nei dialoghi di san Gregorio Magno, il grande papa romano che resse il timone della nave di Pietro dal 590 al 604 («Storie di santi e di diavoli», Vol. I, a cura di Salvatore Pricoco e Manlio Simonetti, Fondazione Lorenzo Valla/ Arnoldo Mondadori Editore, pp. 410, euro 27). Davvero squassata da perigliose onde, in un periodo in cui l'Italia era investita dal furore barbarico, Goti e Longobardi devastavano e incendiavano, carestie, epidemie, terremoti, calamità di ogni genere inanellavano lutti, il potere di Bisanzio era lontano, sfilacciato, inerte. Ebbene, in quel paesaggio lacerato, in mezzo a distruzioni e rovine, Gregorio fu tra quelli che si proposero il difficile compito di custodire e di difendere, di riaffermare e di restaurare, di rifondare e di orientare. In nome del Vangelo. Dunque, nel segno del Bene contro l'imperversante Male. Perché il diavolo è dappertutto. Al seguito di chi distrugge, forte della sua violenza e della sua ottusa ignoranza, ma anche dentro le coscienze. Mille dèmoni ci insidiano, tendendoci i più svariati lacci seduttivi e facilmente diventeremmo preda dei falsi profeti, se gli uomini di Chiesa, e in particolare i monaci, non intervenissero per disperdere ogni falsa luce e illuminarci con quella vera che procede direttamente da Dio e dai santi. Ecco, allora, la parola che propone esempi. Nei quattro libri dei suoi «Dialoghi», Gregorio si rivolge al diacono Pietro che ha bisogno di essere rafforzato nella fede, raccontandogli vicende esemplari di milizia terrena nel nome di Cristo. Dunque di umile e operosa vita quotidiana, in cui il miracolo è, sì, segno di divina elezione, ma non deve sostituire le semplici opere della carità né esser l'unico nutrimento della fede. Quella di Gregorio, nato da un'illustre famiglia, che annoverava tra le sue file papi, prelati e religiose di vita santa, si matura attraverso eventi che lo vedono dapprima impegnato nella vita civile (nel 573, a 33 anni, è "praefectus urbi") e poi in quella religiosa. La scelta monastica lo chiamerebbe ora allo scavo interiore e alla preghiera ma ben presto le circostanze storiche lo costringono a un'attiva presenza nei "negotia", insomma a un confronto serrato con una realtà irta di spine. Viene inviato a Costantinopoli come rappresentante del pontefice Pelagio II, dunque deve interessarsi di faccende politiche e diplomatiche,

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