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di ANTONIO ANGELI OGNI COSA È ILLUMINATA di Liev Schreiber, con Elijah Wood, Eugene Hutz, Boris Leskin, Usa, 2005.

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Il film è tratto dall'omonimo famoso romanzo dell'allora venticinquenne (era il 2002) Jonathan Safran Foer che per il suo scritto ha ricevuto onore e premi. Oggi Foer ha ventotto anni e si gode il successo del suo secondo libro. Ha dato il suo assenso a questo film suggellandolo con un brevissimo cameo. È un viaggio nei resti della memoria dell'Olocausto, attraverso le emozioni personalissime dello scrittore che, nato trent'anni e più dopo quegli eventi, rincorre le vicende che coinvolsero il nonno. Il protagonista è lui stesso, Jonathan Safran Foer, impersonato da Wood, giovanotto statunitense, che, saltando del tutto una generazione, torna nella vecchia Europa, nel cuore dell'Ucraina, alla ricerca di una persona che convinse quel nonno a lasciare il suo Paese e a trasferirsi negli Stati Uniti pochissimi giorni prima dell'arrivo dei nazisti. Un viaggio che all'uomo, che nei giorni nostri è ormai deceduto da tempo, allora, salvò la vita. Un film pieno, corposo, denso di sensazioni nostalgiche e tragiche che non vuole solo rievocare le mostruosità dell'Olocausto, ma va ad indagare sulla nuova identità dell'Europa e degli Stati Uniti. E agli orrori di quella tragedia contrappone la ridicola fatuità del consumismo di oggi. Il giovane regista Liev Schreiber, che i più ricorderanno come attore in «Kate & Leopold» (2001) o «The Manchurian candidate» (2004), osserva con occhio attento e ironico il nuovo Est Europa, inzeppato di ruderi di centrali nucleari dismesse e pieno di fast food nuovi di zecca. La telecamera vola su prati verdi e distese di cemento, senza mai perdere di vista gli uomini che di ogni luogo possono fare un paradiso o un inferno. Dipende da loro. Un merito speciale va al giovane cantante rock Eugene Hutz, originario di Kiev, alla sua prima esperienza come attore, che con la sua presenza generosa e scanzonata fa un'ottima figura accanto al più esperto Wood. E grande merito anche ai curatori dell'edizione italiana e ai doppiatori che con un tocco di fantasia, hanno saputo ben rendere dialetti e battute decisamente lontani dalla nostra lingua.

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