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«Ho voluto fare un film per famiglie Piacerà ai giovani da 9 a 99 anni»

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A dirigere ora «Oliver Twist», prodotto da Alain Sarde e Robert Benmussa, sceneggiato da Ronald Harwood e distribuito da Medusa in 305 copie, è il premio Oscar Roman Polanski che racconta la triste infanzia del piccolo Oliver, interpretato dal convincente dodicenne Barney Clark. Fuggito dal riformatorio, trasformato in rapinatore dal feroce Fagin (sir Ben Kingsley), riscattato dal generoso mister Bronlow (Edward Hardwicke) e di nuovo rapito dal crudele Fagin, il piccolo Oliver lotterà con coraggio per restare fedele alla sua natura d'innocente. Polanski ha realizzato un film per famiglie, il regista sembra così quasi volersi riconciliare con i censori di Hollywood che da anni lo costringono all'esilio, a causa di un passato burrascoso. La vita del regista, di origine polacca ed ebrea, è segnata da nefaste vicende. La sua famiglia tornò nel 1937 in Polonia, ma venne rinchiusa nel ghetto di Varsavia, ghetto dal quale Roman fuggì, mentre sua madre, dopo esser stata deportata, morì in un campo di sterminio. Dieci anni dopo l'orribile delitto (1969) nella sua villa di Beverly Hills della giovane moglie - Sharon Tate, uccisa da Manson all'ottavo mese di gravidanza - Polanski venne accusato per lo stupro (1978) di una ragazzina minorenne e questo ancora lo tiene lontano dagli Usa. Da allora, vive tra la Polonia e la Francia, con la moglie Emmanuelle Seigner e due figli. «Pensavo fosse mio dovere fare un film per i miei figli - ha detto ieri il settantaduenne regista al Warner Village di Roma - Ho fatto il film per i giovani, dai 9 i 99 anni. Ho fatto un sunto delle 700 pagine di "Oliver Twist" che all'epoca Dickens, giornalista parlamentare del Morning Chronicle, pubblicava a puntate sulla rivista Bentley's Miscellany, con il sottotitolo "The Parish Boy's Progress" (La storia del ragazzo della circoscrizione). Allora, Londa era la città più grande del mondo, piena d'immigrati e di poveri sfruttati, per i quali cominciavano a nascere i primi sindacati. Ancora oggi, in molti Paesi, milioni di minori continuano ad essere rapiti, sfruttati e venduti, ma purtroppo non c'è nessun Dickens che abbia il coraggio di dire: adesso basta! Occorre ridare ai bambini cibi sani per non farli diventari obesi, come fanno alcuni dietologi in Italia: è questa la metafora del mio film, che è la semplice trasposizione di un classico, senza indigesti effetti speciali, spade laser, esplosioni, scene di sesso o di masturbazioni. Mi sono identificato con Oliver perché anche io ho vissuto l'esperienza dell'abbandono da bambino. Ma mi sono convinto a fare il film dopo aver visto un musical che ne aveva cambiato la storia e lo spirito, troppo felice rispetto all'originale, e dopo il film "Grandi speranze" di David Lean. Il personaggio di Fagin, interpretato da sir Ben Kingsley, è quello dell'ebreo, che comanda il racket di ragazzini votati al furto: nel film, però, non appare con l'appellativo di "ebreo", attribuitogli in un primo tempo in segno dispregiativo, e poi tolto nella seconda edizione del romanzo per le molte critiche di antisemitismo arrivate a Dickens. Ma, di fatto, Fagin si comporta nel film come un ebreo. Ho voluto rafforzare il finale con la scena del perdono di Oliver, quando fa visita a Fagin nella prigione di Newgate, per pregare con chi lo ha sfruttato». «Chiedermi a chi affiderei un remake dei miei film è come domandarmi con chi vorrei che mia moglie andasse a letto - ha ironizzato Polanski, sottolineando che il suo - Oliver Twist non è un anti Harry Potter, personaggio del quale si ha evidentemente bisogno. Anche se - ha concluso con un pizzico di amarezza - quando accompagno i miei figli al cinema per vedere Potter soffro molto».

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