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COSÌ L'INIZIO DEL LIBRO

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Si svegliava spesso e anche quando il sonno arrivava, il suo corpo era di rado rilassato, in preda a violenti scossoni come nel tentativo di liberarsi da terribili invisibili manette. Di tanto in tanto urlava in una lingua che non conosceva. Alcuni uomini glielo avevano detto con un certo imbarazzo. Non a molti uomini era stato consentito di essere presenti quando lei dormiva. La testimonianza era pertanto limitata in assenza di unanimità: tuttavia uno schema ne risultava. A parere di qualcuno, la sua voce era gutturale, con la gola bloccata come se stesse parlando in arabo. Arabo notturno, pensava, la lingua in sogno di Scheherazade. Un'altra versione descriveva le sue parole come di fantascienza, come Klingon, come una gola schiarita in una galassia, lontano, lontanissimo. Come Sigourney Weaver che scanalizzava un demonio in «Ghostbuster». Una sera, in un impulso di ricerca, la figlia dell'Ambasciatore lasciò scorrere un nastro accanto al suo letto, ma quando udì la voce incisa, la sua bruttezza da teschio, qualcosa di familiare e di alieno al tempo stesso, la spaventò a morte, e lei spinse il tasto della cancellazione che tuttavia non cancellò nulla d'importante. La verità era ancora la stessa. Salman Rushdie

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