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Harding, Mahler calligrafico

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AL PARCO DELLA MUSICA DI ROMA

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Al Parco della Musica di Roma talune virtú che del direttore inglese non avevamo apprezzate nell'atto I sono ora affiorate con corrusca evidenza. La precipua delle quali è l'abilità calligrafica nel cesellare la partitura. Sí che l'opera del boemo è risultata una sorta di miniatura, o di pittura fiamminga: ove ogni elemento timbrico, ogni processo armonico-melodico, ogni oggetto ritmico espresso dalla partitura vantava il nitore della piú inoppugnabile evidenza. N'è sortita una «Quarta», per dir cosí, neoclassica, o canoviana, dalla superficie di niveo marmo levigato e dai contenuti rastremati in algida posa di classica armonia. Una realtà serica, elegantissima, quasi che te d'istinto c'avresti adagiate «Le Grazie» foscoliane. Ma a nessuno sarà sfuggito che una Sinfonia di Mahler non tollera una lettura calligrafica. Mahler non è punto un neoclassico: Mengs gli è estraneo, e la sua «Stimmunmg» non è di Winckelmann. Mahler è l'aurora tragica del Novecento, rimpianto feroce d'un mondo vanito. Egli, anche nella piú lieve «Quarta», è subisso di passioni strangolate, caos, strappo al cuore. Che ce ne facciamo noi di quei suoni pallenti e filiformi largitici dallo Harding? Nessuno piú rimoto di Mahler dalla concezione della musica come astrazione e libero giuoco di belle forme. Anche nell'atto II il maestro inglese ha fallito. Non di meno la «Mahler Chamber Orchestra» e la signora Genia Kühmeier, soprano, hanno offerto prova al tutto eccellente. E. Cav.

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