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Venditti e Roma, trent'anni di amore

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Alla fine spunta il pianoforte per l'inevitabile rito dell'inno giallorosso

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Gli amici musicisti gli anno fatto trovare sul podio a fine concerto un pianoforte bianco. Oltre settemila persone ieri sera al Palalottomatica per il suo concerto romano . E sembrano lontani anni luce i tempi in cui, in locali fumosi e pieni di gente, tra una chiacchiera e l'altra con "quelli del Folkstudio", De Gregari & Co., Venditti si sedeva al piano per intonare canzoni come «Sora Rosa». E ci vollero trenta anni per far sì che, nell'immaginario collettivo, quel microfono e quel pianoforte venissero associati a una faccia e a un nome, quello di chi, ieri sera, ha scelto di nuovo di cantare a casa, nella "sua Roma". Una data unica che non ha concesso repliche, visto che il tour «Campus live», dopo aver fatto tappa nella Capitale, partirà alla volta degli Stati Uniti d'America. Un'ultima data, quindi, "canto del cigno" per il tour italiano nella città che - impossibili altri termini di paragone, visto il calore con il quale Venditti è stato accolto - lo ha applaudito, gli ha fatto il tifo e con pazienza lo ha aspettato, soprattutto nei periodi "bui" della carriera, durante quella manciata di anni in cui il cantautore, pur continuando a essere impegnato su altri fronti (politici e, soprattutto, sociali) staccò il jack del microfono e si ripiegò su se stesso per tornare poi in studio a incidere «Che fantastica storia è la vita». Memorabili i milioni di fans ai live del Circo Massimo lì a sventolare fazzoletti bianchi («Luna su nel cielo/ guarda siamo centomila/ stretti ... stretti stiamo bene/ questa notte per cantare») o quelli di tifosi in occasione della festa messa su per la vittoria dello scudetto della Roma. Dall'altra parte del palcoscenico, in mezzo alla platea, in piedi sotto il palco, a ridosso delle transenne o comodamente seduti sui seggiolini del Palalottomatica all'Eur la sfida lanciata da chi, dopo tanto tempo, dichiara ancora di credere alle «verità delle proprie canzoni», ieri sera è stata di nuovo raccolta: a spalti pieni, raccogliere i cori e portare a termine una maratona musicale di due ore - consapevoli del fatto che, quando si gioca in casa, non sono concessi sbagli - è stato un gioco da ragazzi: e c'era anche quel pianoforte-strappo alla regola ferrea del tour Campus live in cui, in un primo momento, sembrava non potesse trovare spazio visto che ogni concerto «è un sistema chiuso, all'interno del quale gesti e canzoni sono prestabiliti». Quel pianoforte, insomma, non glielo ha negato nessuno. Doveroso, a questo punto, l'omaggio alla città con un «Grazie Roma» accorato. E i brani, a cascata, uno dopo l'altro hanno raccontato una storia trentennale: c'erano quelli che parlano di storie d'amore impossibili, a stridere con le canzoni "impegnate": quelle che, al contrario, raccontano vizi e virtù degli anni Settanta. L'incipit è stato affidato a «Che fantastica storia è la vita», lo svolgimento a «Dimmelo tu cos'è», «Roma Capoccia», la favola di «Piero e Cinzia» dedicata a chi è «nato sotto il segno dei pesci» e ancora «Notte prima degli esami» e «Amici mai»: il gran finale, con bis annessi, destinato a canzoni note e ultime arrivate, tra «Ricordati di me» e «Addio mia bella addio». Venditti ha dedicato la canzone «Ruba» a Mia Martini.

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