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L'inesorabile vendetta di quattro fratelli

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JOHN Singleton è un regista afro-americano fra i più apprezzati di Hollywood. Basterebbe il suo primo film, «Boyz the Hood», diventato subito un caso e candidato a due Oscar, uno per la sceneggiatura, l'altro per la regia. Così i film seguenti, sempre all'insegna di una irresistibile violenza dominata con senso sicuro del cinema. Come nel film di oggi, ambientato in una Detroit nevosa e portato avanti da ritmi in più momenti addirittura frenetici, sempre però intelligenti. Una brava ed anziana signora dedita a far del bene a ragazzi sbandati che raccoglie sulle strade. Quattro di loro, uno bianco, tre di colore, li ha adottati già adulti, seguendone con premure affettuose le vicende spesso turbolente, anche quelle di uno dei quattro, così arrischiate da aver provocato l'inimicizia aggressiva di un boss. Impavida, l'anziana signora aveva allora affrontato anche quel boss, così decisamente, però, da essere presto uccisa da alcuni suoi sicari. Al funerale i quattro «fratelli», anche senza legami di sangue legati dal suo ricordo, giurano di vendicarla e tutto quanto ne segue è questa durissima vendetta. Prima per risalire al boss, poi per metterlo alle corde nonostante abbia in città un tale potere da avere perfino al suo soldo dei poliziotti corrotti. Non c'è mai requie nel racconto (scritto per Singleton da David Elliot e Paul Lovett, due sceneggiatori sperimentati), Si passa dall'ansia affannosa della ricerca del responsabile allo scontro, una volta identificato, con lui e con i suoi, superando difficoltà d'ogni genere, sempre in bilico tra una vittoria e una sconfitta (uno dei quattro morirà in un agguato), con tensioni continue e con cadenze inarrestabili. Si palpita, si stringono i denti, si teme, quasi ad ogni pagina, di verde tutto volgere al peggio: con immagini incise, situazioni martellate, personaggi, pur nella coralità dell'insieme, scolpiti, sia i buoni sia i cattivi, a tutto tondo. Riuscendo persino a commuovere, pur in tante angustie gridate e inseguimenti, in auto, mozzafiato (non mai convenzionali, comunque, e sempre lontani dal repertorio consueto). Gli interpreti fanno il resto. Forse poco noti, ma tutti — sia i quattro sia i loro avversari quasi tutti di colore — con facce decise e forti, pronte a lasciarsi attraversare da collere furiose come da momenti di accorata riflessione. Quando a Hollywood anche i caratteristi hanno un segno. G. L. R.

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