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Quella tormentata lady giapponese di mille anni fa

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135,11 euro, con introduzione e traduzione di Carolina Negri), conferma che la condizione delle donne ha avuto, perfino in un lontanissimo passato, manifestazioni sbalorditive per modernità mentale. Il testo appartiene all'XI secolo, scritto da una donna di rango elevato, figlia d'un funzionario governativo giapponese, legatissima al padre, e a tutti coloro che entrano nella sua vita, nutrice, madre, matrigna, sorella, amiche, poiché la narratrice vive le relazioni e il distacco con un atroce sentimento di fine. Ne deriva una narrazione che vibra di attese e di malinconia, ora se l'amica non si fa presente, ora se un luogo viene abbandonato, o il padre s'allontana per le sue cariche. La Dama di Sarashina perde l'anima nei luoghi e nelle persone, e sogna di rivivere quel che sparisce o si immedesima struggentemente nei romanzetti del tempo suo, i "monogatari", che legge giorno e notte. Del resto, se non legge i "monogatari" li vive nel pensiero o vorrebbe viverne la realtà, incontrarne gli eroi. Tanto vi è immersa che manca assolutamente di vanità e di ambizione, si che invitata dalla Principessa vuole tornarsene dall'amatissimo padre e agli amatissimi libri. Per un'occasione torna ansiosamente dalla Principessa, la trascina il desiderio di rivedere un bel gentiluomo con il quale, insieme ad un'amica, la notte, ebbe conversazioni di tale garbo e cognizione degli aspetti dolenti e poetici dell'esistenza, che lei, senza dichiararselo, se ne invaghì, e il gentiluomo di lei. Ma, pur rivedendosi, non hanno l'opportunità della solitudine, troppa gente intorno, dalla Principessa. E anche questo sogno rimane tale. Ricca, sposata ottimamente ma non felice, la Dama, poco devota, ora, nella maturità, si impone qualche pellegrinaggio sacro per assicurarsi, dice, una reincarnazione favorevole, secondo un buddhismo molto induistico. Precocemente, muore il coniuge. È la desolazione. La Dama rivede sogni premonitori ai quali non dava consistenza, in uno di esse vi era una donna che si disperava, ora comprende che annunciava la sorte di lei. E il racconto sfuma in una dissolvenza che suggerisce solitudine e mestizia... Il testo è trapuntato di componimenti poetici. Sbalordisce specialmente cogliere che queste damigelle e dame dell'XI secolo comunicavano a mezzo di versi, con un sapiente uso del dire per allusione, com'è negli orientali, e una percezione emozionale di suprema sensibilità. Non che sia una sorpresa, chi ha minima conoscenza della poesia cinese e giapponese non la considera inferiore neanche alla lirica greca dell'età classica o alla poesia italiana del XIII e XIV secolo. La poesia cinese del I X e VIII secolo a.C. è incomparabile, ed è, spesso, poesia femminile! Nel racconto della Dama, scrivono versi tutti, comunicano a mezzo di versi, anche in famiglia, tra amici. Scrive la Dama ad una amica, dopo qualche mese che le è morto il coniuge: "Penserete di sicuro/che ora non sia più/in questo mondo./Eppure,piangendo miseramente,/ancora sopravvivo". Le risponde l'amica: "Anche al mio cuore/oscurato dalle lacrime/che versa senza tregua/appare luminoso/il chiarore della luna". Un delicato suggerimento ad amare ancora la vita, così come appare luminosa la luna al di là delle lacrime? O che l'amica ricordava l'amica, la scorgeva, luminosa come il chiarore della luna?"

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