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Un gerarca critico, coltivava intelligenze

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Guerri: «Aveva idee modernissime». Il figlio Bruno: coerente anche nelle scelte difficili

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Già, perché "Giuseppe Bottai, un fascista critico" (Feltrinelli,1976) è uno sviluppo della tesi di laurea dello storico toscano. Al quale, però, non bastò l'autorevole e politicamente correttissima introduzione di Ugoberto Alfassio Grimaldi per sottrarsi all'accusa di fascismo. «Altri tempi. Credo che oggi nessuno si sognerebbe di negare a Bottai quel che gli spetta: è stato un grande uomo politico, un coltissimo "allevatore" di intelligenze e una persona di rara dirittura morale. E sono d'accordo con Sgarbi quando afferma che se, dall'Unità d'Italia in poi, c'è stato un ministro che ha tutelato sul serio i beni culturali, questo è Bottai». Guerri, che si accinge a stampare per Mondadori "Un amore fascista: Benito, Edda, Galeazzo", non ha riserve nella sua ammirazione per il gerarca romano, del quale non solo ha scritto la biografia ma ha curato lucide e appassionate "testimonianze" come "Vent'anni e un giorno", Garzanti,1977 (è in preparazione una nuova edizione per la BUR, adeguatamente commentata) e il "Diario 1935-1944", Rizzoli, 1982. «Il fascista critico Bottai diceva: le mie sono idee per il prossimo secolo. Credo avesse ragione. Abbiamo bisogno di valori comunitari, di una élite intelligente e operosa, di una vasta partecipazione popolare. E, nonostante le contraddizioni dello scenario politico, credo che ci si muova in questa direzione. Bottai ha vinto». Bruno Bottai, figlio del ministro, diplomatico e presidente della "Dante Alighieri", è dello stesso avviso? «Beh, di cammino ce n'è ancora da fare, e non bisogna bruciare le tappe. Ad esempio, quando Rutelli propose di intitolare una strada a mio padre, pur apprezzando la generosità dell'intento, restai perplesso. E infatti seguirono tutte le polemiche che sappiamo. Ma poi una strada serve davvero a ricordare? L'importante è che maturi la consapevolezza storica. Mio padre era un uomo politico fascista - un "protagonista" come Balbo e Grandi - che aveva in mente una certa idea dell'Italia e del suo destino,e sapeva di essere obbligato a fare delle scelte. Fu coerente anche quando furono difficili e dolorose. E i suoi errori li espiò. L'arruolamento, a cinquant'anni, nella Legione Straniera ne è una conferma». Certo, Bottai merita le più attente ricognizioni. E proprio in questi giorni, la stampa, dibattendo sul saggio di Mirella Serri ("I redenti", Il Corbaccio), dunque sull'"interventismo della cultura" di tanti scrittori e artisti, dalla milizia fascista alla folgorazione comunista, riporta alla luce il ruolo di grande suscitatore di energie intellettuali da lui svolto. Grazie all'azione nel partito e nelle istituzioni, e alle riviste, piene di contenuti polemici, che fondò: "Critica fascista" e soprattutto "Primato". Fu l'organo della "fronda", l'officina della trasgressione, o addirittura un serbatoio di antifascisti e, magari, di "comunisti", questa testata che, dal '40 al '43, coinvolse il Gotha della cultura italiana (Migliorini e Morandi, Pasquali e Pintor, Alicata e Guttuso, Gatto e Gadda, Bilenchi e Montanelli, e Luporini, Banfi, Galvano della Volpe, Abbagnano, Paci, Timpanaro, Contini....)? O Bottai,come crediamo, era impegnato, pur nel convulso scenario della guerra, a coltivare delle intelligenze "funzionali" ad un fascismo più robusto nella sua corazza dottrinale e, proprio per questo, si badi bene, più capace di elaborare e assorbire eresie e dissensi? La ristampa anastatica integrale della rivista (si veda intanto l'antologia "Primato", curata da Luisa Mangoni, De Donato, 1977 e "Primato, ovvero la sfida delle idee", di Pierfranco Bruni e Pio Rasulo, curato per le Edizioni del Centro Studi "Francesco Grisi") consentirà confronti più attenti, motivati e puntuali. Certo è che Giuseppe Bottai - politico, intellettuale,ministro "del" e "nel" Fascismo, ma anche uomo del 25 luglio, condannato in contumacia dalla Repubblica Sociale, e "legionario" antinazista - non si sottrasse mai alle sue

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