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Turci: «Canto i bimbi e la violenza»

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Folgorata da Leo Ferré fa anche la cover di «Tu non dici mai niente»

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Nel nuovo disco di Paola Turci tornano temi come l'infanzia, l'abuso, la violenza, la rabbia e il dolore. L'interprete che qualche anno fa scelse di tradurre «Luka» di Suzanne Vega, l'autrice che a quel mondo ha sempre rivolto lo sguardo, festeggia i suoi 41 anni e l'uscita di «Tra i fuochi in mezzo al cielo», undicesimo album di una carriera ormai ventennale. Per l'occasione ha voluto radunare un po' di amici alla Casa del Jazz della sua città. C'è persino il suo primo fidanzato, lo indica bisbigliando mentre cerca con gli occhi la sua approvazione. Un titolo come «Dimentichiamo tutto», il singolo pensato per le radio, non tragga in inganno: «queste canzoni sono la reazione di chi vive la sua quotidianità e ne viene colpito. Dopo aver visto il film "Hotel Rwanda" ho sentito cadermi addosso come piombo il silenzio sul conflitto tra Utu e Tutzi. Ho preso la chitarra e ho cominciato a suonare pensando a quella guerra senza immagine». L'impegno per Ucodep, organizzazione che opera a favore dell'infanzia nel nord del Vietnam, un articolo di cronaca, ma anche la voglia di «raccontare qualcosa che si agitava e che magari ha fatto anche qualche danno dentro di me» compongono il resto. Utilizzando persino la tempesta di versi di Leo Ferré. «Tu non dici mai niente», il brano del poeta e musicista monegasco è la cover che chiude il cd e che allarga il numero di quanti, negli ultimi anni, sono stati folgorati dalla sua opera. Cominciamo proprio da Ferré. Come l'ha scoperto? «Ero partita dall'idea di fare un disco di cover di canzoni d'autore anni '60 e di lavorare sulle cose meno conosciute di Modugno, Tenco, Bindi, Ferré e pochi altri. Come Sergio Endrigo, che mi aveva mandato una trentina di brani tra cui scegliere e persino qualche inedito. Ma ho cominciato ascoltando Ferré, di cui sapevo poco o nulla». Poi cos'è successo? Ha cambiato idea? «No e non escludo di rimettermi subito al lavoro sulle cover. Ma ad un certo punto ho messo da parte il dizionario dei sinonimi e dei contrari per dare spazio alla spontaneità. Questo disco è nato parallelamente ad un lavoro di analisi che sto facendo e che mi ha spinto verso la composizione. Finalmente sono riuscita ad esprimere dolcezze di cui non mi vergogno più, ho bussato alla porta dei miei divieti e ho messo in luce quello che ho sempre nascosto: la perdita, l'abbandono, le debolezze e persino la paura di parlare di un abuso, di una violenza». Come nelle due canzoni «Fiore di giardino» e «Troppo occidentale»? «La prima l'ho scritta in dieci minuti. Una reazione impulsiva e negativa che non ho voluto trattenere. Forse perché mi riporta a tutti gli abusi psicologici subiti. L'altra rappresenta quei personaggi violentati da un ideale, dal fanatismo religioso o dalla follia di un uomo. Un giorno leggo sul giornale: "Uccisa perché troppo occidentale". Una ragazza turca di 20 anni che viveva a Berlino, uccisa dal fratello perché i suoi abiti erano il peccato da punire. Così nella mia canzone ho voluto darle un'altra possibilità, un finale diverso. È la magra soddisfazione di chi fa questo mestiere. Quella preposizione "Tra" del titolo del disco è come la feritoia da cui Ferré guarda il mondo. E questa feritoia è l'arte in cui infilare belle speranze». Paola Turci presenterà il nuovo disco il 20 settembre alla Feltrinelli in Galleria Alberto Sordi e tornerà in concerto a Roma il 19 dicembre all'Auditorium.

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