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Uno scrittore di nome Nessuno

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La sequenza degli autori decisa a sorte: l'incipit è toccato a SkàrmetaCoinvolti nel progetto ideato dal greco Skourtis anche l'israeliano Keret e lo svedese Fioretos, ma il capitolo più significativo è quello portato a termine

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Tutto ha obbedito ad un compiuto processo democratico: tutti hanno votato per stabilire a chi toccasse aprire la corsa, ed è toccato al cileno Antonio Skàrmeta (quello del «Postino di Neruda»). Dopo di che, estrazione a sorte per continuare, a scanso di equivoci e di discussioni. Ed ecco allora uscire dal cilindro, in bella sequenza, l'italiano Ammaniti, il greco Assonitis, la turca Cicekoglu, lo spagnolo de Prada, la greca Divani, l'olandese/australiano Faber, fra i più noti, lo svedese Fioretos, l'olandese Japin, l'israeliano Keret, l'algerino Khadra, un pseudonimo dietro il quale si nasconde un ufficiale dello stato maggiore, il praghese Kohout, il tedesco di Dresda Shulze e il greco Skourtis, ideatore dell'intera avventura. Il titolo richiede una spiegazione, interpreta in termini di assolutezza metaforica la condizione dell'uomo contemporaneo, poiché contiene in sé la duplice ideazione della ricerca di identità, polo tematico drammaticamente presente nell'attuale processo di consolidamento di un universo quanto mai diviso e spaccato dall'indebita divisione del bene e della ricchezza, nella rozza divisione fra dovizia e povertà. Srilanka e New Orleand son lì ad insegnare. Ma «Il mio nome è Nessuno» chiama in causa anche Ulisse, la figura/chiave dell'intera simbologia letteraria dell'universo creativo, non soltanto per aver dovuto mutar nome per sfuggire all'ira dei Ciclopi, ma anche per tutto quanto nei secoli a venire ha poi rappresentato, nel lungo, tragico processo migratorio cui assistiamo da anni, nella lotta verso i poteri forti, ben compresi quelli degli scafisti, autentici padroni di topografie drammatiche e illusorie, popolate di vittime della Storia. Probabilmente l'avvio più significativo, debitamente agganciato alla conclusione del precedente reperto, è quello di Niccolò Ammaniti: Pedro Hundo, incredulo di fronte alle infinite disgrazie che gli erano piovute addosso, da quando era sceso su quella dannata isola dell'Africa Occidentale, poggiati i piedi a terra con la certezza di venir accolto con collane di fiori, vede arrivare le guardie dell'aeroporto. Al kafkiano Josef K. — cognome puntato, senza identità — accade qualcosa di simile: aspetta la colazione, e invece arrivano due sbirri che lo impacchettano, l o interrogano, lo torturano, lo uccidono senza che mai il buon Josef abbia il bene di sapere il perché. E la storia continua. Le situazioni che i singoli autori creano, sulla scia di conclusioni precedenti dominate dall'ambiguità e dall'equivoco, dalla resa più totale ad un profitto cieco che vive e vegeta nell'indifferenza propria e altrui, appartengono tutte, ovviamente, a temi al centro della vita contemporanea, a cominciare dal terrorismo, trattato in più di una occasione dai narratori presenti, ma sempre sotto angolazioni e compromessi diversi, a dimostrazione e verifica della pluralità della condizione, e della gestazione, del fenomeno più abominevole dell'età contemporanea. Nel racconto dello spagnolo de Prada, per esempio, c'è il tentativo di coinvolgere anche un intreccio d'amore per fronteggiare la strategia di un crimine che, per la propria salvezza, deve operare una orrenda anestesia della coscienza. Ed ecco allora affiorare le rivoluzioni mancate, soprattutto nel Centroamerica, ombelico di tutte o quasi le vicende, in un contesto generale che orma

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