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L'inattualità del «fattore K»

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Lui, ad esempio, maestro di garbo e d'abissi, di sorrisi e di tragedie, di minuetti e dannazioni, d'ambrosia e di sangue. Tutto ed il contrario di tutto, ossia l'emblema di quell'ambiguità che è insieme l'abbacinante sostanza della poesia e la prigione entro cui barcolla il mondo. L'anno prossimo cade il 250° della nascita del Salisburghese, e ne approfitta l'Accademia Nazionale di Santa Cecilia per precedere l'evento con un acconcio «Festival K» (la lettera è l'iniziale di Köchel, il musicologo austriaco di fine Ottocento che curò il vasto catalogo dell'opera mozartiana): festival misto di concerti, films, rappresentazioni teatrali e chiacchiere all'uopo, imbanditi al Parco della Musica di Roma. Ma a parte la solenne ricorrenza, che senso ha oggi la proposta della musica mozartiana? Che cosa essa suggerisce ai nostri tempi? alla nostra sensibilità? ai nostri giovani? In somma, Mozart è attuale o è un museale d'oro come può esserlo un Palestrina? Riteniamo che l'autore del «Don Giovanni» e de «Il fluato magico» sia in rapporto a noi come l'armonia si rapporta al dissidio, la forbitezza alla volgarità, l'unità alla molteplicità caotica, la civiltà alla barbarie. Mozart è un'effigia dello splendore conseguito dalla civiltà musicale nel tempo della massima sua «salute», ossia il Settecento: effigia calata nella nostra straziata epoca di regressione, forse la piú cruenta e disennata dell'Occidente dopo i secoli settimo e nono d.C. Non sembri assurdo parlare d'un secondo Medioevo che alla qualificazione di «barbarico» sostituisca quello piú temibile, e gravido di disastri culturali, di «tecnologico». Mozart appare un lucore utopico od un monito senza speranza nel buio delle nostre anime dissestate. In ogni caso, un'energia immensa ma impotente. Nessun artista piú di lui risulta rimoto dal nostro presente: quasi una provocazione, una beffa, un insulto. Quanto vale infatti il suo perfetto equilibrio formale e sostanziale? la sua misura impeccabile nell'effondere il canto apollineo o dionisiaco e nel dir tutto senza mai scomporsi da uno stato di prodigiosa grazia? «Poiché le passioni anche violente - affermava il Nostro - non debbono mai arrivare fino al disgusto, cosí pure la musica, anche nei momenti più terribili, non deve mai offendere l'orecchio, ma sempre far godere e rimanere sempre musica». A fronte dell'aristocrazia della sua anima balbetta, esterrefatta e confusa, e forse indispettita, la pebaglia della nostra. Mozart procede verso il profondo: noi s'evapora nel futile. Alla sua intelligenza si contrappone la nostra idiozia, essendo sul punto di venir meno la stessa consapevolezza del presente stato. La sua musica sopraffaceva le miserie e le guerre di quei tempi: la nostra musica è impregnata dello smarrimento e della brutalità che calpestano i nostri cuori. L'età di Mozart è quella dell'Illuminismo e dell'Enciclopedia, di Voltaire, Rousseau e Kant, donde sorge il moderno concetto di dignità umana all'interno di una Weltanschauung o visione del mondo che predica la fiducia dell'uomo e del suo operoso agire nella Ragione; la nostra è quella del frammento, o dell'afasía, o del silenzio tout-court mascherato da un vociare alienato di manichini e da ghiacci eserciti di risa stereotipate. Nel Salisburghese l'Io e la Natura valgono un'unità inscindibile; nell'uomo contemporaneo fra Io e Natura s'erge una barriera insormontabile e fatale: il soggetto pensante rimbalza contro il muro del proprio pensare, al di là del quale s'estende, negatagli, la volta celeste: il creato. Possiamo concludere che noi siamo l'esatto e tragico contrario di ciò che addita il linguaggio mozartiano. E forse Mozart piace a tutti noi — candidi o tormentati, vergini o peccatori, reazionarî o rivoluzionarî, addottrinati od incolti - perché neppure lui è in grado d'influenzare o modificare il nostro immedicabile e masochistico disastro

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