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Sublime Rossini

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Dove Bello di natura e Bello d'arte si fondono come per incantagione in unità estetica: ché le spiagge estive il giorno rifulgono delle forme e dei moti armoniosi delle bagnanti, quali sacre e ridenti ninfe di Cupido, mentre i teatri la sera riecheggiano a gara quelle semidee, nelle note e nei canti formosi del maestro di Pesaro. Il quale, quando la Storia della Musica, snebbiata, avrà conseguito la verità del giudizio, fra decenni o secoli, sarà universalmente riconosciuto per il maggior compositore d'opere dell'Italia d'ogni tempo: e del Verdi, oggi sul trono, rampolleranno, quali peticelli, le gravi magagne e barbarie di scrittura, che mai intaccarono Gioachino: genio pur reazionario (antirisorgimentale per preveggenza di come sarebbero andate a finire le cose patrie in avvenire) e di carattere affatto forastico nel duro progredire dell'età. Della sublimità rossiniana eccone a Pesaro, ad inaugurazione del Festival, un esempio con «Bianca e Falliero», ennesimo capolavoro del Maestro (1819) benché molestato dall'insulso libretto di Felice Romani. Che vi narra, sullo sfondo della Venezia del Seicento in lotta contro potenze straniere, d'una lei e d'un lui innamorati ma contrastati dal di lei papà, bramoso di maritarla ad altro bramante: finché la coppia s'accoppierà scornacchiando i due intrusi. Ma che importa la trama fetente? La musica rossiniana la stritola e rinvergina grazie ad una memoranda tempesta di commozioni, delicatezze e stupefacenti intuizioni che, in un'aura di perfetta astrazione poetica appena carezzata da bagliori romantici, nullificano il significato della parola onde ricrearla in vibrazione di puro, splendido suono. Del resto, sempre il libretto è servito a Rossini non più di quanto un make-up potrebbe servire a Venere callipigia. L'allestimento pesarese dell'opera ha goduto di ombre e di luci. Luci le ugole; regìa e direzione musicale le ombre: e pure fitte. Messa in scena pretensiosa a firma di Jean-Louis Martinoty, segnalatosi per le sue idee confuse che hanno offuscato anche il fascino dei costumi di Daniel Ogier. Sul podio della modesta Orchestra Sinfonica della Galizia, Renato Palombo ha diretto in modo dilettantistico una partitura troppo problematica per lui, in specie fallendo nella concertazione e nella definizione del carattere stilistico dei personaggi vocali. Ma le due signore, Daniela Barcellona (Falliero) e Marìa Bayo (Bianca) si sono rivelate due mostri di perizia belcantistica, la prima suscitando applausi a scena aperta nei voli d'una tecnica trascendentale. Al loro fianco, ottimo Carlo Lepore (Capellio, il pretendente inappagato), degno d'una lode Francesco Meli (Contarono, il papà tramante), e bene gli altri e il Coro da Camera di Praga. Il pubblico internazionale che presenziava alla première ha riservato applausi e urbane contestazioni secondo un retto giudizio.

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