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Bosie, l'amore di Oscar e i debiti con Churchill

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110 anni fa il processo a Wilde e al suo compagno che scandalizzò il Regno Unito

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Il Füher ormai aveva perso il conto dei cadaveri, preoccupato solo di portarsi dietro quanti più tedeschi e nemici poteva nell'oltretomba, tanto ormai gli uni e gli altri si valevano ai suoi occhi. Nelle strade oscurate della capitale inglese, si aggirava un vecchio gentiluomo distrutto dal vizio, senza quasi più un soldo in tasca, evitato come un paria da parenti e amici. Marinai in licenza e camerieri dei grandi alberghi, pronti ad accogliere le sue avances quando era potente, capriccioso e ricchissimo, sfuggivano ora ai suoi approcci, talvolta lo lasciavano inconscio sul selciato, dopo averlo percosso e derubato. Si chiamava Lord Alfred Bruce Douglas. Con il nomignolo di Bosie sarebbe passato alla storia come uno dei grandi fedifraghi del Novecento, causa della rovina del più illustre dei suoi amanti, Oscar Wilde. A parte gli stinti abiti di Savile Row che indossava, possedeva ormai solo alcune casse di lettere e manoscritti. Non sfoggiava più all'occhiello la gardenia, simbolo dell'unione con Oscar. Il volto insieme flaccido e rinsecchito ricordava a fatica il giovane insopportabilmente bello ch'ei fu. Bosie stava morendo, lo sapeva e non ne aveva paura, dacché l'unica paura che avesse mai nutrito in vita era quella di annoiarsi. A centocinque anni dalla scomparsa e centodieci dal celebre processo intentato dalla Gran Bretagna vittoriana all'"amore che non osa dire il suo nome" (in realtà i processi furono tre, per diffamazione e attentato al pudore, tutti rovinosamente quanto inutilmente persi), Oscar Wilde continua a essere l'autore di lingua inglese (ma irlandese fino al midollo) più letto e rappresentato dell'Otto-Novecento. Se lo sarebbe meritato anche senza lo scandalo, tanto è meravigliosa la sua prosa e alta la sua ispirazione. Anche al cinema ha trovato interpreti sensibili, dal migliore di tutti, Peter Finch, al più recente Stephen Fry. Bosie invece è sempre stato trattato male, anche da Jude Law che lo ha reso sullo schermo più isterico e odioso del dovuto, forse per non rischiare che il suo adorante pubblico femminile confonda attore e personaggio. Sembra quasi che Wilde non potesse cadere per le sue colpe (grazie al Cielo ne aveva anche lui) ma per la convergenza tra l'ipocrisia borghese e l'arroganza del compagno di sventure. Bosie non se lo meritava, né da vivo né da morto. Per sfaccendato che fosse, pubblicò alcuni volumi di versi che non sfigurano nelle antologie. Fu coperto da elogi interessati, ma alcuni sinceri. Il più generoso, quello di George Bernard Shaw: «È stato l'uomo più bello del secolo, io il più brutto. Figurarsi se non andavamo d'accordo». L'erede degenere del marchese di Queensberry aveva conosciuto tutto, come capita solo ai dilettanti: privilegi quasi feudali, viaggi in tutti i mondi possibili compresi naturalmente quelli della droga e dei paradisi artificiali. Infine il fallimento e la disgrazia sociale: una piramide di debiti provocata dai gusti smodati, dalle pessime amicizie, dalle salatissime cause per diffamazione che intentava e regolarmente perdeva contro i biografi e i seguaci di Oscar. Negli anni Venti era finito anche lui in prigione, non potendo pagare i danni processuali a un uomo politico in difficoltà, che molti consideravano ormai fuori gioco, amico della bottiglia e nemico del novanta per cento del genere umano, che per vivere era divenuto la penna più sulfurea del giornalismo inglese: si chiamava Winston Churchill. Ma nessun «De Profundis», nessuna «Ballata del carcere di Reading» avevano coronato la sua detenzione di gloria e di martirio. Nato per godere, Bosie ne aveva pagato per intero il prezzo, da uomo sempre fieramente inutile. Fu allora che, proprio mentre si stava chiudendo, la vita gli riservò il secondo incontro decisivo. Non con un esteta, o con un efebo consolatore, ma con la più

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