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Cocteau, Apollinaire e Poulenc esaltati dalla musica di Tutino

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SFERISTERIO DI MACERATA/1

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E si parlava difatti francese nelle due inaugurali primizie musicali: la prima su testo del geniale e pionieristico Cocteau, scritta nel 1940 per Edith Piaf, la seconda ispirata a Poulenc da Apollinaire, entrambe ora ospitate nel Teatro Lauro Rossi. Due lavori — «Le bel indifferènt» e «Les mamelles de Tirèsias» — concepiti nella regia e nelle essenziali ma incisive scenografie di Pierluigi Pizzi come un tutto unico, senza soluzione di continuità, ovvero quasi come due facce della stessa medaglia. Tema della serata era il difficile rapporto tra i due sessi, trattato in maniera drammatica e solipsistica da Cocteau in forma di monologo messo in musica da Marco Tutino, in chiave surreale e parodistica da Apollinaire e Poulenc (1947). Ne «Le bel indifferènt» un algido mobilio moderno e uno scintillante bagno fanno da cornice alla nevrosi della protagonista, che accusa, inveisce, interra, titilla appunto il suo bel partner, sempre silenzioso, sino ad accettarne i comportamenti. Un monologo vittimistico, masochistico che vede dall'altra parte un uomo in accappatoio bianco che con la massima indifferenza fa il bagno, offrendo le terga nudo al pubblico, orina nel water, legge un giornale bianco, vede la tivù, dorme. Paradigma dell'uomo venuto dal nulla, assente, non sappiamo se reale o solo immaginario nella mente della donna nevrotica. Ben più moderna appariva la musica di Tutino, in prima esecuzione assoluta, alla giusta confluenza tra neoromanticismo e linguaggio aggiornato, una partitura che rendeva assai bene le pur minime sfumature del soliloquio muliebre in cui brillavano le doti attorali e vocali di Monica Pacelli. Il ruolo del bell'indifferente, dopo il forfait di Costantino, che ha lasciato l'amaro in bocca a numerose fans, era affidata al non meno virile Daniele Fernandez, mimo urugujano già interprete di Pizzi, Strehler e Ronconi. Nel segno del sorriso, invece, «Les mamelles de Tirèsias» che hanno il pregio di una musica se non geniale tuttavia a tratti scoppiettante. Vi si tracciano le simmetriche esperienze di vita di una moglie (Teresa) che come il mitico Tiresia vuol cambiare sesso disfacendosi del suo seno, mentre il marito in una Zanzibar da operetta, riesce a mettere scenicamente alla luce una nidiata di figli ma solo a scopo di lucro. Avvincente qui la regia di Pierluigi Pizzi, tutta improntata ai colori della bandiera francese, con passerelle tra il pubblico e forti tinte. Una sorta di sperimentazione dell'effettiva parità dei sessi. Eccellente la prova dell'orchestra e coro dell'Opera di Stato di Praga diretti da Guillaume Tournaire.

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