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Ecco il galateo della «buona» lingua

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Nel libro «Le parole giuste» le istruzioni per colloquiare in modo corretto

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Ogni volta che parliamo o scriviamo, entriamo in contatto con gli altri e riveliamo qualcosa di noi: ecco perché, oltre a rispettare le buone maniere, è importante usare le espressioni giuste. Per dissolvere ogni nostro dubbio vi è un libello che da qualche mese circola nelle librerie che ha per titolo proprio "Le parole giuste" (Sperling&Kupfer Editori), una sorta di galateo della lingua italiana ad uso quotidiano utile per ogni occasione. Gli autori, Giuseppe Patota e Valeria Della Valle, sono due docenti di Linguistica italiana già noti in passato per imprese editoriali simili come "Il Salvalingua", "Il Salvatema" o il più conosciuto "Il Salvaitaliano", un libro che è una vera e propria miniera di informazioni sull'uso corrente e corretto del nostro idioma. Libri utili dunque, ai quali si aggiunge ora anche una sorta di "galateo" dell'italiano, o meglio, "un piccolo manuale di consigli, suggerimenti, osservazioni sui comportamenti che ci piacciono e soprattutto su quelli che non ci piacciono", come avvertono gli autori in premessa. Un esempio? Spesso per indicare una donna, si premette al suo nome o cognome l'articolo la : "la Claudia, la Moratti, la Melandri...". L'abitudine diffusa soprattutto nell'Italia settentrionale e in Toscana è sbagliata e l'articolo va evitato in quanto crea una discriminazione tra uomo e donna. Meglio scrivere Veltroni, Moratti o Jervolino. Scorrendo il libello ci si imbatte ancora in numerose altre curiosità che dimostrano quanto sia approssimativo e spesso sbagliato l'uso del nostro linguaggio quotidiano come nel caso del "condizionale" (presente o passato) o, peggio ancora, nell' "imperativo" usato nelle espressioni di cortesia linguistica. Nel primo caso il condizionale di cortesia attenuerebbe i modi di chiedere qualcosa, tipo "vorrei un caffè" al posto di un perentorio e sgarbato "voglio un caffè" oppure nella forma di modestia "sarebbe meglio andarcene" che "è meglio andarcene". Peggio ancora risulta l'uso dell'imperativo, forma verbale di per sé già poco simpatica in quanto indica un comando, usata molte volte con arroganza e senza formule di cortesia che ne renderebbero più simpatico il suono. "Passami il pane" o "avvertite mia moglie" muterebbe in un più digeribile "per piacere, passami il pane" o "per cortesia, avvertite mia moglie". Del resto, la nostra lingua come pure la nostra storia ha conosciuto e conosce vari altri modi di impartire un ordine attraverso giri di parole tali da far assumere al comando una formula di domanda, tipo "vi dispiacerebbe passarmi del pane?" oppure "potresti prepararmi i documenti per la riunione?". Ma non sono solo il condizionale o l'imperativo ad essere sotto esame nel libro di Patota e Della Valle, ma anche l'uso dell'imperfetto e del futuro rientrano nella prova d'esame del galateo linguistico. Ancora un esempio? Quando facciamo un uso proprio per indicare un'azione o una condizione continuata, ripetuta o prolungata nel passato possiamo dire "quando ero un ragazzo, ascoltavo sempre i Beatles". Tuttavia l'imperfetto potremmo utilizzarlo anche sottoforma di cortesia allorché rivolgendoci ad un terzo chiediamo: "volevo un caffè", che starebbe anche per "...quando un minuto fa sono entrato nel suo bar volevo un caffé...ma se non può o non vuole farmelo, non fa niente". Sofismi, piccole sfumature linguistiche che solo l'italiano permette di fare, ma che segnano la differenza e rendono i nostri rapporti più accettabili ed educano alla tolleranza verso l'altro. Infine un appello che, pur non rientrando strettamente nel galateo dantesco, sarà bene ascoltare: ai matrimoni, alle tesi laurea o, peggio ancora, ai

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