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Al museo Greco di Sabaudia una mostra di scatti inediti illustra la vita dello scrittore

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Sarebbe altrove, Alberto Moravia, con quel suo sguardo annoiato, con quella sua invidia per chi creava muovendosi e non inchiodato a una sedia, con quella sua capacità di dissacrare il mondo ed al mond,in fondo, aggrapparsi perché non lo sopraffacesse la normalità. Sentirsi diverso era la sua vita, scrivere affinché gli altri, compresi "gli analfabeti", come definì coloro che leggono soltanto l'estate, in una chiacchierata che facemmo anni fa, potessero leggere, era la sua vendetta su un'umanità banale che lo affascinava annoiandolo. Lo incuriosiva tanto da analizzarla intravedendo quello che oggi appare di stringente attualità. Dai ricordi di chi gli fu accanto o semplicemente divise con lui un istante di cammino, Moravia esce così. E così appare nella mostra di fotografie inedite «Moravia. Album privato», al museo Greco di Sabaudia, città metafisica che scoprì a metà anni '60, e scelse per costruirci una casa sulle dune, «gemella» di quella di Pier Paolo Pasolini. Foto un po' sbiadite, consunte come quella del fratello Gastone morto nella guerra d'Africa che portava sempre nel portafogli, Elsa Morante con i gatti, i volti sorridenti di Pier Paolo Pisolini e Maria Calls sdraiati su una spiaggia africana, l'autoritratto di Dacia Maraini, e poi lo scrittore osservato da due ragazzini del Mali, a tavola con un giovanissimo Enzo Siciliano fotografati da Renato Guttuso, con Fellini, con Gaffredo Parise fotografato da Mario Schifano, con Carmen Lera sul terrazzo della casa romana. «È come sfogliare un album di famiglia e affondare nella nostalgia - dice sorridendo Dacia Maraini, davanti a quelle foto messe su pannelli con didascalie scritte a mano, con frammenti di carte geografiche, carte disegnate, note di viaggio - Erano bei tempi: a Sabaudia trascorrevamo giornate felici, lavorando tutti, io, Alberto, Pasolini, però si camminava sulla spiaggia, io facevo lunghe nuotate, pescavo manciate di telline che mangiavamo con gli spaghetti... Tutto questo non c'è più: troppa gente, auto, in acqua solo meduse...non sarebbe piaciuta ad Alberto». È proprio lei, Dacia, l'autrice di gran parte delle foto, perché Pasolini non possedeva macchina fotografica, a Moravia non piaceva fare il «soggetto» e i luoghi e i volti da fissare, invece, erano tanti, perché proprio negli anni '70 lei e il suo compagno erano instancabili viaggiatori. «Il viaggio è una terapia perché produce lo spaesamento di abitudini e certezze che costringe ad affrontare una prova con se stessi. Viaggiare - diceva Moravia - conduce l'uomo ad agire. «È stato emozionante vedere alcune foto perché ho visto le immagini dei racconto di mia madre di quel famoso viaggio intorno al mondo che suo fratello aveva intrapreso con la Maraini dopo poco tempo che stavano insieme - ricorda Gianna Cimino figlia di Elena, sorella di Moravia — È stato bello anche perché sono tappe in Paesi dove c'era anche mio padre, allora diplomatico in India, Afghanistan... Sono commoventi anche perché sono immagini private, veramente intime, senza pose, dove traspare qualche imbarazzo, c'è più anima che corpo in quelle immagini sbiadite, proprio perché fatte da una persona legata a mio zio, e traspare chiaramente il Moravia timido, pudico fino ad essere burbero. Se mi sforzo, riesco ancora a sentire nelle orecchie il tono del "pronto" con cui rispondeva al telefono: era sempre annoiato, un po' scocciato...Ma quello era lo stile Moravia: anche mia madre e mia zia Adriana, la pittrice, sono state burbere, ma semplicemente perché timide, sempre sulla difensiva». Ma la quarantunenne Gianna ha nel cuore lo zio della sua adolescenza, quello che si rifugiava nella sua casa la domenica, staccando «la spina» e con il quale andava al cinema. «Io e mia madre tornammo dal Senegal, dove mio padre morì, nel 1981, e lui non mai fatto le veci di mi padre, ma faceva lo zio o, come amava dire lui, "l'ozio", il padre dei vizi. Con lui c'

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