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«Mi sento come un postino che porta il messaggio della poesia»

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Ma chi nasce complesso, ossia uomo, e la sua vita l'indirizza all'ideale, o, meglio, al miraggio di un'aurea semplificazione delle cose, dentro e d'intorno, allora costui è forse degno di una qualche considerazione. Così è ad esempio Giovanni Allevi, un compositore-pianista nato ad Ascoli Piceno or sono trentasei anni, che all'apparenza ne dimostra dieci di meno, tanto il suo volto è disteso e garbatamente ottimista, la sua parola sciolta e sorgiva, il suo fiducioso andare incontro alla vita libero da incagli e gravami esistenziali. A ragionare con lui, ti pare che al mondo ancora sopravviva e aleggi la peregrina idea d'esser il nostro il migliore dei mondi possibili. Andante ma non troppo: Allevi ha studiato musica, s'è diplomato a pieni voti a Perugia nel suo prediletto strumento; poi ha studiato composizione a Milano con pari esito; poi (od insieme) ha studiato filosofia, laureandosi con lode e con la tesi su "Il vuoto nella fisica contemporanea". Ma non si dà arie, il giovane marchigiano, anzi sembra umile ed aperto ad ogni concorso di sapere. Non per ciò è un indifeso, in balìa delle castronaggini e delle cattiverie degli umani. A provvedere alla sua difesa è il suo stesso dotto candore, di cui la sua musica è per molti versi specchio apprezzato ed applaudito. Ha tenuto concerti in America ed in Italia (uno a Roma nei trascorsi giorni alla Feltrinelli, altri due ieri sera al Blue Note di Milano); si era dapprima impegnato in una tournée in Cina, e ancora, al festival delle Tremiti, Lucio Dalla lo ha voluto sul palco, e il pubblico si è spellato le mani a forza di chiamate alla ribalta. Infine, il 13 luglio, sarà ospite di Recanati, per una performance che aveva per eletta cornice il Colle dell'Infinito. In catalogo altresì tre dischi di sue composizioni, di cui uno - titolato - uscito da poco. Ma com'è questa musica pianistica? Diciamo così: se fosse una stagione sarebbe primavera, se fosse una pietanza un'insalatina, se fosse un colore l'azzurro che inonda i tetti delle moschee. Ad esser più puntuali: la scrittura di Allevi, calata affatto nel sistema tonale, prende in uno del romanticismo tedesco, ed in specie di quello schumanniano, e del minimalismo contemporaneo. Al centro la vena melodica, coltivata con grazia elegante e levità, al servizio di una cantabilità di soave immediatezza espressa nell'àmbito di brevi pagine, da cui il pubblico più vasto, che ha in odio le sofisticherie e le bislaccherie novecentesche più cruenti, può restare d'un sùbito catturato e confortato; al paro di coloro che, amando il pop e la "leggera" in genere, trovano nella spontanea adesione ai suoni di Allevi una sorta di tacita e grata promozione sociale: e magari culturale. «Desidero stare vicino alla gente - afferma del resto il compositore - e voglio che la gente abbia modo a traverso della mia musica di avvicinarsi alla magica sfera della bellezza. Mi piace immaginarmi un postino che reca il messaggio della poesia a tutti. È la mia sfida». Ma è possibile un progetto così alto oggi, quando il miraggio estetico o è abbrutito dagli scempi dell'arte stessa o è affatto alienato da un'industria culturale che mira a soddisfare i peggiori e più accidiosi istinti dell'animo onde trarne i maggiori profitti economici? «Certo, è questo un problema fondamentale per ogni artista che si trovi ad operare nella nostra civiltà. Ma io ho fiducia nella potenza del linguaggio musicale che conosce le vie segrete per raggiungere, sia pur con gradualità e non senza momentanee sconfitte, il bersaglio, al di sotto delle tempeste e dei deserti». Se la domanda non è indiscreta o insensata: cos'è la musica? «È una potenzialità straordinaria. Penso ad un immenso blocco di marmo che ogni artefice modella secondo il proprio valore a coglierne la statua che a priori vi respira e pulsa dentro». La musica dunque esisterebbe indipendentemente dal compositore e dal pubblico. Come la musica dei cieli ipotizzata dai pitagorici? come le idee dell'iperuranio platonico?

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