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La tumultuosa passione di D'Annunzio per la nobile Natalia

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...Il catalogo dapontiano di Don Giovanni è poca o nulla cosa a rimpetto di quello sfolgorante dannunziano. D'amore il Vate s'è notoriamente nutrito con ingordigia spasmodica: amour-fou, terremoto dei sensi (tutt'e cinque), giochi dell'anima e della carne, menadistiche ebrietà e languorose melanconìe, spezie erotiche e slarghi lirici: il corpo femminino quale divinità estetica da venerare, ascoltarne gli oracoli, attorcinare a sé, sacrificare al culto degli impulsi vitali, ognora risorgenti e mai paghi, ed al ribollire d'un'ispirazione fantastica sempre più delicata ed intensa: nel trascorrere tumultuoso degli anni: delle vivide e molli ore. Nella donna D'Annunzio, sublime Narciso della Décadence, scorgeva ammaliato sé stesso: nelle opulente forme come nei tratti agri, nell'avvampare del desiderio come nel digradare impotente e tenue dell'accaduto. S'è detto di Don Giovanni ciò che si potrebbe riferire anche al sommo poeta abruzzese: nella donna o la ricerca drammatica, incontinente ed utopica d'un assoluto metafisico sempre negato, od una negata e tacita inclinazione omosessuale che nessuna imagine femminile, o pratica donnesca, sa sedare. Di là dagli atti fieri ed eroici della produzione artistica del Vate, al di là delle apologìe linguistiche e delle nerborute pose letterarie, tutto il mondo dannunziano è del resto documento irrefregabile, chiara testimonianza, invocazione tragica e sommessa d'un'omosessualità violenta insieme e fragile: quale un fiume carsico cui s'inibisca il rampollare nel vero. Oggi sono date alle stampe, a cura di Andrea Lombardillo (Ed. Rocco Carabba) le lettere dal Nostro inviate a Natalia de Goloubeff - lui nella precritica età dei quarantacinque anni, lei in quella preludiante e maliziosa dei ventisei - che coprono il periodo dal 1908 al 1915. È la stagione dell'esilio dannunziano in Francia, ove il poeta era riparato per sfuggire alle volgari richieste dei suoi creditori. A Roma, nel marzo del 1908, aveva conosciuta la signora russa, in occasione della prima rappresentazione de "La Nave". Dal Nostro ribattezzata Donatella Cross, Natalìa era nipote al medico dello zar Alessandro III; sposata con un aristocratico dabbene, amante delle Muse, col quale aveva posto al mondo due figli. Incontro fatale, quella sera, dischiuso al ruggire della pressione amatoria, essendo che il cuore del poeta traccheggiava, o languiva tout-court, nelle secche della relazione con Giuseppina Mancini, mentre la dama slava, dotata di bellezza non inferiore ad intelligenza, pativa il malandrino tran tran della muliebre quotidianità. Accadde tosto il naturale. Eccellente D'Annunzio, amante di lei alla Capponcina, quindi dal 1910 ad Arcachon. L'epistolografia ci mette a giorno della produzione dannunziana di quella stagione - "Fedra", "Forse che sì forse che no", a tacere delle opere in francese - e dei frequenti e innumeri contatti del poeta con intellettuali, musicisti, impresari, attori ed attrici sulla cresta dell'onda: da Debussy a Reinhardt. E ci pervengono altresì le notizie, gli accenni, le insistenze del Nostro intorno al carico di lavoro insostenibile, alla sconfitte dei congegni interiori, ai disinganni melanconiosi.... Ma e l'amour? Le missive esordienti - ça va sans dire - sono gemmei scrigni di carinerìe e d'angelicati riguardi e di promesse perenni e d'imparadisate epifanie. Dipoi, secondo detta Natura al riguardo, i colori si stemperano, le epifanie rinculano dal paradiso al purgatorio, gli scrigni scricchiolano, ed accosto ai brillanti traluce un qualche zircone. Lui, dongiovannescamente, sbircia già di sottecche altrove, alla sua Natalie rivolgendo detti correnti: da fratello a sorella punto incestuosi.

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