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Balducci, un «gas» contro la violenza

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I film di giovani registi e attori italiani tentano di arginare lo strapotere dei blockbuster americani

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Per la prima volta, quest'anno, anche oltreoceano è arrivato vento di crisi e Hollywood, almeno per un attimo, ha tremato. E intanto, le produzioni italiane si consolano all'ombra di nuove idee e di nuovi attori. È il caso di Lorenzo Balducci, ventiduenne attore romano,figlio di un ingegnere e di un'insegnante, grande appassionata di cinema. Dopo aver esordito ne «I cavalieri che fecero l'impresa» di Pupi Avati e in «Ma che colpa abbiamo noi» di Verdone, Balducci è stato diretto, l'anno scorso, da Luca Lucini in «Tre metri sopra il cielo». Instancabile e ricercatissimo dalle produzioni, Balducci è ora a Genova sul set di «48 ore», nuova serie televisiva del regista Eros Puglielli e, sempre per la tv, girerà la seconda parte di «Giorni da leone», fiction di Raiuno con Barbareschi. Mentre è da poco uscito nelle sale «Gas» di Luciano Melchionna, dove Balducci è protagonista di una storia sulla gioventù violenta. «Il film, anche se ha delle scene crude, racconta in realtà una storia di grande umanità - ha spiegato Balducci - Vicende di ragazzi, troppo spesso mal compresi dalle loro famiglie, che facendo violenza sugli altri, mostrano la loro debolezza: è una richiesta di aiuto e di amore che cade nel vuoto. Luca, il mio personaggio, vive una realtà familiare opprimente e riesce a trovare un po' di dolcezza solo da un ragazzo. L'incontro con una banda di giovani violenti scatena il suo odio e la sua vendetta. Il film è stato paragonato ad "Arancia Meccanica" ma è invece una metafora, quasi una parodia di quel film, perché in "Gas" la violenza è più che altro immaginata, quasi mai esplicita e sempre addolcita dalla poesia. In Italia, mancano belle sceneggiature come questa. Sono poche le idee e spesso, se pure ci sono, vengono sviluppate male, senza suggestioni. Tra gli attori, quelli che mi emozionano di più sono Leonardo DiCaprio e Luigi Lo Cascio, mentre il mio sogno è farmi dirigere da Salvatores e da Tarantino». Oltre a «Gas», altri film italiani - come «Amatemi» di Renato De Maria, «Fratella e sorello» di Sergio Citti, «Fatti della banda della Magliana» di Daniele Costantini, «Sulla mia pelle» di Valerio Jalongo e «Nessun messaggio in segreteria» di Miniero e Genovese - stanno lottando in questi giorni, nelle sale, contro kolossal come «Star Wars», «Sin City» e «Batman begins». Intanto, sono appena finite, nel teatro Eliseo di Roma, le riprese di «Padiglione 22», opera prima di Livio Bordone, prodotta da Isabella Cocuzza e Arturo Paglia per la Pablo e, in attesa dell'uscita, ha già assicurata una distribuzione in dvd con la Voir Trade. La pellicola, riconosciuta di interesse culturale nazionale, è stata fra le 38 che hanno subito un drastico ridimensionamento del contributo: il budget è passato dalla cifra iniziale di oltre un milione di euro alla metà. Nel cast, con Elio Germano, c'è anche Regina Orioli, tornata sul grande schermo dopo tre anni, «perché - ha raccontato - ho amato subito il personaggio, per l'opportunità che mi ha offerto di uscire dal clichè di parti che mi vedevano come la ventenne di buona famiglia viziata e un po' carogna. Qui si racconta, invece, di un disagio mentale, una sorta di schizofrenia sulla quale mi sono documentata con l'aiuto di due psicoanalisti. È il film più fisico che ho fatto: in una scena distruggo a colpi d'ascia i mobili. Ora, sto lavorando sul set dell'opera prima di Carlo Virzì, "Adelmo torna da me" e mi stanno proponendo copioni interessanti. Sono fortunata, perché i registi italiani, spesso, scrivono storie più per affermare se stessi e il proprio narcisimo che per amore della narrazione. La crisi del nostro cinema nasce da lì, da sceneggiature poco interessanti».

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