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di GABRIELE SIMONGINI SAREBBE stato meglio se si fosse chiamata Biennale di Barcellona ...

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Quella che si apre al pubblico oggi nella città dei Dogi è la somma di due grandi rassegne ("L'esperienza dell'arte" di Maria de Corral ai Giardini e "Sempre un po' più lontano" di Rosa Martinez all'Arsenale) che non hanno proprio nessun connotato italiano, anzi che rispecchiano fedelmente la nazionalità spagnola delle due curatrici, che hanno invitato troppi loro connazionali, alcuni dei quali francamente poco presentabili, o comunque troppi sudamericani. Insomma, una Biennale di lingua spagnola. Così il nostro Ministro dei Beni Culturali, Rocco Buttiglione, ha fatto bene a reclamare più attenzione per l'arte contemporanea italiana, dichiarando che «il futuro curatore della Biennale dovrà garantire di conoscere ed amare la nostra arte». Oltre tutto i pochissimi artisti italiani presenti, compresi quelli selezionati dalla Direzione Generale per l'Architettura e l'Arte Contemporanea del Ministero per i Beni Culturali, fanno di tutto per non farsi notare, con interventi tanto minimali da essere quasi invisibili. L'unico che ha cercato di colpire tutti con effetti fin troppo facili e provocatori ma, almeno, vivaci, è Francesco Vezzoli, che ha rifatto a modo suo il "Caligola" di Tinto Brass, facendo recitare anche Gore Vidal, Milla Jovovich e Courtney Love. Però ha esagerato in termini di buon gusto con l'esibizione di fellatio e rapporti contronatura francamente fini a se stessi. Un primato almeno l'abbiamo conquistato, anche se totalmente inutile e quasi ridicolo: Bruna Esposito, con la sua "Perla a piombo", ha realizzato l'opera più piccola mai esposta ad una Biennale. Ecco, è questo il simbolo della nostra partecipazione, la più piccola da tutti i punti di vista, numerici e creativi. Però va riconosciuto che la Biennale di quest'anno è comunque più interessante di quella caotica e noiosa presentata nel 2003 da Francesco Bonami. Ora le opere sono molte di meno e meglio selezionate e l'allestimento è quasi perfetto. Le due critiche spagnole sono ottime professioniste anche se la parola "femminismo" da loro usata ed evocata in molte opere pare proprio un anacronismo fuori luogo. Non mancano, secondo la miglior tradizione, le opere-shock, dal truculento video dell'"Imenoplastica" documentata dalla guatemalteca Regina Josè Galindo (vincitrice del Leone d'oro nella categoria giovane artista) al lampadario fatto con assorbenti interni da Joana Vasconcelos. In ogni caso ci sono opere pregevoli che già di per sé meritano un viaggio. All'Arsenale spiccano: il poetico e rigoroso intervento della libanese Mona Hatoum con un cerchio di sabbia su cui una struttura di acciaio traccia segni e subito li cancella, per evocare il rapporto fra distruzione e costruzione che caratterizza la vita umana; i divertenti ma per certi versi tragici "Little men" che si agitano, si accoppiano, giocano all'interno di grandi scatole di cartone, nella proiezione ideata dal gruppo russo dei "Blue Noses"; le spirali in alluminio della grande Louise Bourgeois; la gigantesca astronave supertecnologica di Mariko Mori, con la sua forma a pesce che ricorda certe sculture di Brancusi e animata dagli ipnotici colori dell'arcobaleno. Nel Padiglione Italia (di italiano c'è solo il nome) emozionano le sculture con corpi mutanti del tedesco Thomas Schutte (premiato con il Leone d'oro), le sempre più attuali opere di Francis Bacon, i disegni animati di William Kentridge, l' installazione di Jenny Holzer che fa nascere poesie luminose dalle pareti, la foresta di carta pressata del brasiliano Josè Damasceno. Per rivedere dopo diversi anni il Padiglione italiano bisognerà invece attendere la Biennale di architettura del prossimo anno e quella di Arti visive del 2007.

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