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«Tormentone» tra estate ed estetica

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Non c'era altro». Romano, 72 anni, autore, compositore di quasi duecento colonne sonore, popolare ancora oggi in Sud America, Nico Fidenco ha legato il suo nome alle canzoni estive, che ancora non si chiamavano "tormentoni", ma che facevano ballare e innamorare gli italiani. «What a sky», «Se mi perderai», «Con te sulla spiaggia», «La voglia di ballare», «Come nasce un amore» i titoli dei suoi successi, ma soprattutto «Legata ad un granello di sabbia», strettamente connessa all'estate del 1961, primo disco italiano a superare abbondantemente il milione di copie e fra l'altro canzone esclusa dalla commissione selezionatrice del Festival di Sanremo dell'anno precedente perchè ritenuta "poco commerciale". Un brano talmente popolare che proprio in questi giorni viene iconizzato da un libro di Enzo Gentile che si chiama proprio «Legata a un granello di sabbia» (Editore Melampo), prima ricerca condotta in Italia sul fenomeno della canzone balneare, precisamente su quel particolare spicchio della musica leggera che riguarda le colonne sonore dell'estate. Ne è scaturita un'indagine trasversale, per la ricostruzione storica e artistica di un genere che si coniuga strettamente ai cambiamenti della società e alla cultura delle vacanze. Le canzoni di Nico Fidenco hanno rappresentato elementi ben radicati negli usi e costumi degli italiani che per la prima volta scoprivano la motorizzazione e le vacanze di massa. Fidenco, in fondo le sue canzoni, tra atmosfere da spiaggia e un sano e divertente intrattenimento, alla lunga si sono rivelate come un indelebile marchio di un periodo. Però! «Sì, fu un periodo musicale fortunato, a base di sapori e parole che gli italiani non hanno dimenticato, visto che noi lavoriamo sempre, grazie soprattutto al pubblico che non si è dimenticato del nostro repertorio». Secondo lei perchè, fra l'accavallarsi di mode, tendenze e tormentoni, nessuna mutazione ideologica è riuscita ad infrangere il suo repertorio? «Fondamentalmente perchè erano canzoni oneste, genuine, in qualche caso delle ottime canzoni. In secondo luogo perché nascevano come dovrebbe nascere una canzone, cioè al pianoforte, alla chitarra, provando e riprovando, parlando con i direttori artistici. Tutto questo non usa più». L'accusa principale riguardante gli odierni tormentoni è quella di essere troppo industriali, furbi, creati in laboratorio; ma le sue canzoni erano veramente così genuine? «Dal punto di vista compositivo si, senz'altro lo erano. Direi anche da quello tecnico-industriale, anche perché non c'era scelta: i miei primi successi vennero registrati su tre piste. Certo, qualche astuzia, ma di poco conto, la usavamo pure noi. Prima di pubblicare i miei dischi, per esempio, la casa discografica invitava un campione di commesse di negozi di dischi, un centinaio di ragazze che esprimeva un parere a caldo. Non si sono mai sbagliate». Che cosa invidia ai tormentoni di oggi? «Senz'altro non le idee, visto che sono poche. Ruotano sempre sugli anni Sessanta-Settanta, rubacchiano e campionano le nostre canzoni, un esercito di furbi. Semmai invidio tutto quello che c'è dietro, la possibilità di esibirsi davanti a decine di migliaia di persone e di capitalizzare i propri successi. Noi non facevamo gli stadi, eravamo al night, l'unico bagno di massa era il Cantagiro ma eravamo quaranta cantanti». E invece i re del tormentone odierno cosa dovrebbero invidiare a Fidenco e agli cantanti del periodo? «Per gli altri non so rispondere. Forse la vena compositiva. A me forse la capacità di avere arrangiatori, direttori d'orchestra e orchestratori del calibro di Ennio Morricone, Pino Calvi, Luis Bacalov. Ma tanto loro hanno il computer...». Il cosiddetto genere estivo genera comunque un grande business, anche se nelle ultime due stagioni si

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