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Dado, principe col vizio dell'avventura

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Ma Don Alessandro Ruspoli, principe di Cerveteri, conte di Vignanello, marchese di Riano, nobile di Viterbo, per gli amici Dado, non abita più nelle sale sontuose in cui gli antenati ricevevano papi e sovrani, da lui cedute con affreschi, tele, busti e suppellettili al collezionista Roberto Memmo che le ha trasformate in gallerie per grandi esposizioni. Superati due piani della scalinata marmorea di Martino Longhi il Giovane, considerata una della meraviglie di Roma, si prende sulla destra una scala in legno che conduce alla mansarda. Qualche stanza arredata con mobilio semplice e piena di ricordi fotografici, di quadri, disegni, panoplie, budda sukothai, sete tibetane. I disegni sono perlopiù di Jean Cocteau dedicati affettuosamente a Dado, alcuni dipinti portano la firma di Salvator Dalì e di Eleanor Fini, forse compagni delle sue scostumatezze parigine.(...) «Vorrei sfatare la leggenda. Non era un pappagallo, Era un corvo». Ha l'espressione di chi ha deciso di liberarsi da un segreto insopportabile. «Dopo mezzo secolo trovo ancora gente convinta che negli anni della mia giovinezza avessi l'abitudine di andare in giro con un pappagallo su una spalla. La verità è un'altra. Parliamo di Capri intorno al 1950, a quell'epoca l'ombelico della Terra. Venivano da tutte le parti come negli anni Venti, omo ed eterosessuali, produttori di Hollywood e intellettuali inglesi, gente stramba tipo la principessa Mananà Terranova che dalla sua villa accanto a Marina Piccola scendeva al mare portata in lettiga. Un giorno ho appena finito un singolo a tennis con Rudy Crespi, arbitro Orson Welles, quando mi cade ai piedi un corvo ferito da un cacciatore. Ha un'ala spezzata. Lo raccolgo, vorrei curarlo. Mi avvio verso l'albergo Qusisana dove occupo una suite proprio sotto quella di Lucky Luciano, ricorda il boss della mafia americana? Avendo le mani occupate appoggio il corvo su una spalle. Succede che mi imbatto in un fotografo ambulante. Scatta un intero rullino e va a venderlo al "Mattino" di Napoli. L'indomani mi ritrovo sulla prima pagina in compagnia del volatile. Tutto finirebbe con una didascalia che accenna alle stravaganze di Capri, se i rotocalchi del Nord e persino un paio di quotidiani di Parigi e Londra non cogliessero lo spunto dal corvo, trasformato in pappagallo, per annunciare la nuova tendenza. Da quel momento prendono a sbarcare nell'isola frotte di giovani e maturi gagà, chi con un gallinaccio, chi con un piccione, chi con un pappagallo sulla spalla. Se ne parlò tanto che persino Totò ne fece un film, prediligendo la versione del pappagallo. E così si è perpetuato il falso». Sembra che la messa a punto lo abbia rasserenato. Non saremmo qui a parlare con Dado Ruspoli se non fosse stato, come si dice, un figlio del suo tempo. Nel dopoguerra ha espresso le stravaganze e gli eccessi della gente ricca. Niente a che vedere con il pio nonno Alessandro, amico di pontefici e Gran Maestro della Guardia Nobile.(...) «Ero giovane, libero, privo di pensieri. Forse ho anche esagerato. Tanto che un giorno Cocteau mi prese in disparte. «Vuoi morire in un cesso del métro?» «Sei ammattito?» «Guardati intorno, Dado, e mi capirai meglio». Voleva dire che dovevo smetterla con certe droghe: portano alla distruzione, alla dose iniettata di soppiatto, alla morte fulminante. Insomma fu Cocteau a salvarmi. Non che fosse uno stinco di santo. A parte la sua vita sessuale ben diversa dalla mia (io preferivo le donne), era uno che non si risparmiava con l'oppio. Ma l'oppio non ha mai ucciso nessuno».(...) Il suo santo taumaturgo si chiama Marco Ferreri. Lo ha visto in teatro: «Ti faccio attore vero» gli assicura. Siamo nel 1993. Con lo sprezzo dei pericoli che lo aveva reso grande, il regista pone il principe al centro del film «La casa del sorriso» accanto a Ingrid Thulin. Lo girano in due mesi frenetici dentro un ospizio di vecchi a Cattolica. Senza mai mettere il naso fuori. Durante la giornata Ferreri crea le battute per Dado e a

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