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Dottor Vasco

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Con il classico saluto da concerto allo stadio, i circa 700 studenti che ieri affollavano l'aula magna dell'Università IULM di Milano, hanno festeggiato il loro beniamino, divenuto dottor Rossi, grazie alla laurea honoris causa in Scienze della Comunicazione conferitagli dal magnifico rettore Giovanni Puglisi e dall'intero consiglio di facoltà. E Vasco Rossi, in toga da laureando e cappellino militare, ha subito replicato scattando in piedi, braccia al cielo, indici e medi serrati, e lanciando uno «Yeee», in segno di orgoglioso trionfo, mentre decine e decine di telecamere e fotografi schierati sul fondo dell'aula e sotto il palco prendevano di mira la rock-star e i suoi studenti-fans. Chissà chi ha avuto più coraggio in questo stravagante pomeriggio celebrato alla Libera Università di Lingue e Comunicazione dello IULM: il 53nne mitico ribelle della nostra musica pop a lasciarsi battezzare «dottore» dai professori dell'accademia milanese, o questi a rendere omaggio al rifiuto delle regole e delle formalità del «poeta del rock» di Zocca? Forse, entrambi. Bisognava vederlo, Vasco, con lo sguardo umido e ammiccante, l'espressione divertita, ascoltare e commentare con sorrisi e scuotimenti della testa, la prolusione del rettore Puglisi che lo lodava «per aver abbattuto le barriere tra generazioni, per essere andato oltre la banalità della società consumistica», definendolo «poeta apocalittico e maledetto, leggendario per la capacità di sognare e di far sognare intere generazioni», accostandolo addirittura a Oscar Wilde e Pier Paolo Pasolini. «Vado al massimo» sembrava commentare Vasco, in rispettoso silenzio, quando ha sentito che prima di lui avevano ricevuto il medesimo riconoscimento personaggi del calibro di Alberto Sordi, Andrea Camilleri, Mario Monicelli, Inge Feltrinelli. «Non esageriamo», c'era scritto negli occhi e sulla bocca di Vasco Rossi, 132 canzoni firmate in carriera e milioni di spettatori ai suoi concerti che riprenderà in tour dal 7 giugno, a Torino, subito dopo l'uscita del suo libro «Le mie canzoni» (Mondadori). Vasco il trasversale, che sa toccare le corde di gente di età e ceto sociale più diversi. «Dovremmo conferirgli la laurea dell'incomunicabilità - ha affermato nella sua «laudatio», il professor Marco Santagata, ordinario di Letteratura italiana all'Università di Pisa -, perché Vasco Rossi ha dimostrato la capacità rarissima di esprimere quei sentimenti che sono difficili da esternare per tutti noi nella fase dell'adolescenza. Vasco ci restituisce ai sentimenti di un tempo: con lui, parole, pensieri, sentimenti, trovano la via della comunicazione». «Ti distingui dal luogo comune», annuisce con il testone il "dottor Rossi", che poi sorride in segno di protesta, quando il suo "laudatore" osa affermare, sfidando la contestazione dei fans, che nelle sue canzoni «I testi non contano». È un percorso ardito quello che compie il professor Santagata per giungere alla conclusione, condivisa, che ciò che conta nei brani del neodottore è che ci fa rispecchiare in essi. «E voglio proprio vedere come va a finire», sembra chiedersi il profeta di «Una vita spericolata» che conferma spiritosamente, quando il professor Santagata lo loda per esser «privo di spessore storico-politico»; ma che, ancora più spiritosamente non accetta di condividere l'osservazione che lo pone distante «da inquietudini metafisiche»: «Bé, sì e no», replica Vasco Rossi scatenando l'ovazione della folla divertita. «Sconvollto, sballato, fumato, spericolato, insomma un maledetto» incalza il "laudatore", sottolineando come, oggi, sia il rock a tenere in vita, imponendola all'immaginario globalizzato, la figura dell'artista maledetto, che nei secoli, da Cecco Angiolieri a Rimbaud, è sempre esistita. «Sballato io? - ha replicato all'inizio della sua "lezione" Vasco -, forse. Ma ricordatevi della canzone di Mick Jagger quando dice "Per la verità, sono sobrio per metà del tempo"». Applausi e fischi che accendono la temperatura dell

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