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Oggi la Giornata dell'Olocausto. Tra le polemiche su Pio XII, sul sionismo e sul revisionismo storico

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Il difficile dovere di ricordare

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Così come ha suscitato polemiche e scatenerà ulteriori discussioni una mozione approvata durante un dibattito organizzato dalla Royal Geographical Society britannica nella quale si afferma che «Il Sionismo oggi è il vero nemico degli ebrei». È il quadro tutt'altro che vissuto con storico distacco nel quale si ricorda il sessantesimo anniversario del 27 gennaio 1945, quando i soldati dell'Armata rossa buttarono giù il cancello di Auschwitz, sul quale campeggiava l'ignobile scritta: «Arbeit macht frei», il lavoro rende liberi. La memoria è un dovere, per l'intera umanità. Non è possibile dimenticare gli ebrei sterminati ad Auschwitz, a Dachau, a Bergen-Belsen, a Buchenwald, a Mauthausen. Ma anche a Treblinka, Flossenburg, Sachsenhausen, Chelmno, Majdanek, Gross Rosen, Stutthof, Sobibor, Janowska, Dora Mittelbau, Ravensbruck, Theresienstadt, Belzec, Esterwegen, Hartheim, Natzweiler Struthof. E in Italia, a Fossoli e nella Risiera di San Sabba. Per ricordare il genocidio, quello che Gianfranco Fini - nella visita a Gerusalemme del novembre 2003, uscendo dallo Yad Yashem, il Museo dell'Olocausto - definì «il male assoluto», ricordando anche l'abominio delle leggi razziali del 1938. Non è facile raccontare la Shoah, senza correre il rischio di ridurre tutto a una mostruosa contabilità: sei milioni di ebrei (due terzi di quelli che vivevano allora in Europa) uccisi in pochi anni, colpevoli di appartenere a una razza, e ad una fede religiosa, diversa. La persecuzione aveva avuto inizio con l'avvento del nazismo al potere in Germania. Nel 1938, l'assassinio di Ernst von Rath, segretario nell'ambasciata tedesca a Parigi, offrì il pretesto ai criminali nazisti per bruciare 267 sinagoghe e arrestare 20 mila persone nella «notte dei cristalli» (Kristallnacht, 9-10 dicembre). Gli ebrei furono costretti a pagare una somma di 400 milioni di dollari per risarcire i danni subiti dalle loro stesse proprietà. All'inizio della guerra, nel settembre del 1939, tre milioni di ebrei polacchi dovettero subire violenze e stragi: 700 mila morirono di stenti nei due anni successivi. Contro gli ebrei russi, nel 1941 furono impiegate quattro Einsatzgruppen (squadre d'urto) che si macchiarono di atrocità terribili (il 30 settembre, nel burrone di Baby Yar, in Ucraina, furono mitragliati 33.771 ebrei). L'anno successivo il regime hitleriano teorizzò - nella conferenza di Wannsee - la «soluzione finale» (Endlosung) della questione ebraica. Ha scritto Primo Levi: «Tutti caricati sui vagoni, e la nostra sorte è stata la stessa per tutti: un campo di sterminio nazista. Non era mai successo, neppure nei secoli più oscuri, che si sterminassero esseri umani a milioni, come insetti dannosi». Levi è morto suicida a Torino nel 1987: quarantadue anni non erano stati sufficienti per cancellare l'incubo. Elie Wiesel, sopravvissuto ad Auschwitz, fa dire al protagonista di un suo libro: «Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte per sette volte sprangata». Tutti i romani non dimenticheranno mai il 16 ottobre 1943 quando il comando tedesco del feldmaresciallo Albert Kesselring ordinò il rastrellamento del Ghetto. 2091 ebrei furono deportati nei campi di sterminio tedeschi. Ne sarebbero tornati, a guerra finita, soltanto 15. E ieri in Campidoglio quelle storie nei lager le hanno raccontate al Sindaco Veltroni uomini e donne che le vissero in prima persona. Fra il 1942 e il 1944, gli ebrei reclusi nei lager furono sterminati con il gas cianidrico e con il monossido di carbonio, con le iniezioni al fenolo, con i lanciafiamme e le bombe a mano. Scrisse Anna Frank nel suo Diario: «Nonostante tutto credo ancora all'intima bontà dell'uomo... Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore

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