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La Russia degli zar in un bagno di sangue

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..».Così scrisse Lev Trotzkij nella vasta autobiografia data alle stampe qualche anno dopo essere stato condannato all'esilio da Stalin. La riflessione del leader comunista perseguitato dai suoi ex-compagni di partito era assai fondata, perché fu a partire dal 22 gennaio del 1905, data di inizio dell'annus horribilis della dinastia Romanov, che il trentasettenne zar Nicola II divenne per il suo popolo "Nicola il sanguinario", e fu quella "domenica di sangue" ad aprire la via alla Rivoluzione bolscevica di dodici anni dopo. Per capire che cosa accadde in quel gennaio di un secolo fa a San Pietroburgo, bisogna partire dalla drammatica crisi-crack dei prestiti esteri a seguito di una grave recessione in Europa e Stati Uniti, diminuzione delle ordinazioni dello Stato, tracollo della giovane industria russa, pessimi raccolti nelle campagne. Nel 1903 gli operai avevano cominciato a manifestare con violenza, scavalcando i sindacati "gialli" filozaristi. A complicare le cose era intervenuta la solenne sconfitta subita dalla Russia nella guerra col Giappone. La misura era colma e nell'autunno del 1904 si erano fatti sentire anche i liberali, chiedendo fra l'altro una Camera dei Deputati. Il 3 gennaio del 1905, infine, 12.000 operai delle industrie Putilov di San Pietroburgo erano entrati in sciopero per protestare contro alcuni licenziamenti, e in pochi giorni la protesta si era estesa a tutta la regione. È a questo punto che entra in scena Georgij Gapon, un pope assai popolare il quale lanciò l'idea di una petizione allo Zar. La petizione non conteneva nulla di sovversivo. «Tu renderai felice la Russia». La mattina di domenica 22 gennaio la petizione fu accompagnata verso il Palazzo d'inverno da 150.000 persone ma a ridosso del Palazzo i manifestanti furono accolti da uno sbarramento di cosacchi. Gapon, seguito dallo scrittore Maksim Gorkij, non si fermò e la truppa iniziò a sparare. Fu una carneficina: centinaia, forse migliaia, i morti, molti di più i feriti. Poco mancò che il 1905, dopo quella "domenica di sangue", fosse l'ultimo della dinastia Romanov. Il movimento rivoluzionario, infatti, si estese e continuò fino all'autunno, dividendosi in due rami: quello liberale, composto da borghesia, e quello popolare, comprendente diverse formazioni politiche e che tentò soluzioni inedite, come il primo Soviet. A Nicola II non rimase che fare qualche concessione : in febbraio promise un'assemblea consultiva e in agosto istituì la Duma (Camera) di Stato, dai poteri vaghi. Ma non bastò: scioperi, disordini, bombe, l'ammutinamento dell'equipaggio della nave da guerra "Potemkin" al quale si unì quello di tutti i marinai di Odessa, espropri contadini delle terre spinsero lo Zar a firmare, in ottobre, lo storico "Manifesto delle libertà" che concedeva i diritti civili fondamentali, ampia partecipazione popolare alle elezioni ed effettivi poteri alla Camera. Sembrava che la rivoluzione avesse vinto, ma non era così. I liberali si spaccarono: una parte accettò il "Manifesto", un'altra lo accolse con molte riserve, mentre la sinistra socialdemocratica lo rifiutò, negando ogni riconoscimento all'autocrazia zarista. Con l'opposizione così frammentata fu facile a Nicola fare marcia indietro. Mentre le truppe si ammutinavano a Kronstadt e Sebastopoli e i contadini scatenavano violente sommosse, il ministro Witte ricorse alla solita arma dei pogrom antisemiti, all'applicazione della legge marziale e allo scioglimento manu militari dei due principali Soviet, quelli di Mosca e Pietrogrado. Nicola svuotò rapidamente di contenuti il "Manifesto delle libertà". Ma il mondo operaio e contadino russo uscì completamente trasformato dal terremoto del 1905.

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