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La rivincita di Guttuso

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Fioriscono le mostre e un suo quadro è stato battuto all'asta per 750 mila euro

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A proposito di Renato Guttuso (1912-1987) se ne sono dette e scritte di tutti i colori nell'arco di parecchi anni, fra gli elogi più sperticati e le critiche più violente, vicine all'insulto. È impressionante andarsi a rileggere l'imponente rassegna stampa che fece seguito alla sua scomparsa e alla sua imprevista e chiacchieratissima conversione: la morte di Guttuso fu allora vissuta come un evento nazionale, quasi come la morte di un eroe. Però, a poco a poco, fu altrettanto sorprendente il velo di oblio che anno dopo anno iniziò a calare sulla sua opera, perlomeno a paragone dell'inarrestabile successo precedente. Fino alla sua scomparsa le opere di Guttuso erano ovunque: migliaia di litografie accomunavano i salotti chic e le case dei macellai arricchiti, e poi c'è stato un continuo bombardamento guttusiano anche sulle copertine di libri e riviste, sulle tovaglie, nei manifesti per la pace, e chi più ne ha più ne metta. Viceversa, dopo il 1987, l'opera di Guttuso cadde quasi nel limbo dell'indifferenza anche perchè la sua completa identificazione con la causa marxista non gli ha giovato, facendolo lentamente scivolare ai margini dell'arte europea del XX secolo. Improvvisamente, però, da poche settimane, sembra esserci un risveglio d'interesse nei suoi confronti sia da parte dei musei che del mercato. Prima di tutto va segnalato il nuovo e vertiginoso record all'asta per una sua opera, sia pure di dimensioni eccezionali: «La battaglia di ponte Ammiraglio», del 1951-52, un olio su tela di cm.318x 520, il 27 novembre 2004 è stato aggiudicato da Farsetti a Prato alla cifra di 750.000 euro. È una somma considerevole se solo si pensa che fino a quel momento un'opera di Guttuso era arrivata al massimo a quasi 150.000 euro. Ma quel che conta è l'acquirente: la Soprintendenza Speciale del Polo Museale di Firenze che l'ha destinata nientemeno che agli Uffizi. Nel frattempo altre due o tre aggiudicazioni di buon livello fanno proprio pensare che il mercato di Guttuso sia in crescita. E poi ecco un nuovo fiorire di mostre importanti. Il 26 gennaio si aprirà alla Fondazione Mazzotta di Milano l'esposizione «I Guttuso della Fondazione Pellin», curata da Enrico Crispolti, con un'ottantina di opere comprese fra gli anni Trenta e i primi Ottanta che in seguito approderanno a Roma, nel Chiostro del Bramante. Ma soprattutto, dal 18 febbraio al 29 maggio, sarà la volta di una mostra molto ambiziosa, presentata a Torino, nelle sale di Palazzo Bricherasio e intitolata «Guttuso. I capolavori dei musei». I curatori Fabio Carapezza Guttuso e Daniela Magnetti hanno scelto gli 80 più importanti dipinti di Guttuso presenti in musei italiani ed esteri, i capisaldi di tutto il suo percorso creativo: «La Crocifissione» del Premio Bergamo, «L'occupazione delle terre», le nature morte degli anni Quaranta, «La spiaggia», «Il caffè Greco», «I funerali di Togliatti» e via di seguito. Quali sono allora le ragioni di questa improvviso ritorno di fiamma guttusiana? Si è forse stemperata la battaglia ideologica intorno al nome di Guttuso? Fabio Carapezza Guttuso, curatore degli Archivi Guttuso e Enrico Crispolti, che è insieme a Maurizio Calvesi il più autorevole esperto dell'opera del pittore di Bagheria, concordano nel sottolineare che questo rinnovato interesse si inserisce nel buon momento di mercato e di critica che attraversa la pittura neo-figurativa. «Finalmente ci si accorge che Guttuso - dice Fabio Carapezza - è stato un pioniere di quella pittura figurativa che vuole essere veramente popolare, accessibile a tutti». «Sì - conferma Crispolti - oggi si riscopre la sua spavalderia pittorica nell'uso dell'immagine più teatralizzata e sarebbe necessario rileggere la sua opera alla luce d

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